Il libro di Christian Marazzi (Il posto dei calzini, Bollati Boringhieri
1999), non può considerarsi un semplice segno, tracciato con mano insicura,
sul foglio bianco del caos che ci circonda. Al contrario, esso è un
tentativo, a suo modo compiuto, di sondarne l'interna razionalità,
rintracciare l'elemento "ordinatore", risalire al principio costitutivo.
Christian Marazzi, Il posto dei calzini - La svolta linguistica
dell'economia e i suoi effetti sulla politica, Bollati Boringhieri, Torino
1999, pp. 133, 24.000.
L'onda d'urto che genera incertezza, sbandamento, malessere sociale,
instabilità politica ed economica, crisi di senso e di prospettive, si forma
all'interno dei nuovi processi di produzione post- fordista - in conseguenza
della centralità assunta dalla comunicazione - informazione (e, quindi, dal
lavoro immateriale).
Ciò che nell'organizzazione de lavoro fordista-taylorista, scandita da tempi
e mansioni definite e lineari, costituiva un forte elemento di disturbo, un
pesante intralcio allo snodarsi delle varie fasi della produzione ("la
catena di montaggio era muta"), ora acquista un ruolo primario. In epoca
post-fordista, la comunicazione all'interno della fabbrica, dell'azienda di
servizi o di distribuzione (fra addetti, settori, reparti), e il flusso di
informazioni proveniente dall'esterno (dai lettori ottici dei gradi punti
vendita e dall'uso delle carte di credito, che censiscono i gusti del
consumatore-utente), diventano parte integrante dello stesso processo
produttivo: "la comunicazione entra in produzione".
Se, grazie alle nuove tecnologie informatiche, al linguaggio elementare,
"logico-formale", di cui esse sono portatrici, qualunque lavoratore di una
moderna azienda, non fosse in grado di espletare, in qualsiasi momento, una
delle molteplici funzioni necessarie alla produzione in tempo reale
(just-in-time), facendo ricorso alla comunicazione-informazione, la macchina
produttiva entrerebbe immediatamente in crisi. "Di fatto - scrive Marazzi -
la comunicazione lubrifica l'intero processo produttivo, dal punto di
distribuzione-vendita delle merci al punto di produzione e ritorno".
La fabbrica snella, pensata per conciliare l'inconciliabile: ridurre i
costi, aumentare la produttività, azzerare le scorte, deve rispondere
just-in-time alle sollecitazioni del mercato. Come poi diventi concretamente
possibile concorrere su un mercato globalizzato, saturo (non in grado di
assorbire una produzione di massa) e rispondere in tempo reale ad ogni
minima variazione della domanda, è spiegabile, almeno in parte, risalendo
alle cause che hanno determinato i licenziamenti di massa degli ultimi anni.
Le gigantesche ristrutturazioni cui abbiamo assistito dall'inizio del
decennio in corso (e che nel Mezzogiorno, fra il 1992 e il 1998, hanno
portato ad una perdita di circa 600.000 posti di lavoro e , contestualmente,
alla creazione di poche decina di migliaia di lavori, precari e a tempo
determinato), sono l'effetto più immediato e meglio percepibile del nuovo
modo di produzione post-fordista. L'azienda, per tener testa ad una
moltitudine di concorrenti agguerriti, taglia drasticamente i costi: espelle
cioè forza-lavoro ed esternalizza interi segmenti della produzione (con la
pratica del subappalto), sì da conseguire notevoli risparmi alle voci
contributi e oneri sociali. In secondo luogo, si "riconfigura" - come si
dice con espressione mutata dal linguaggio informatico - ; riorganizza il
processo produttivo, servendosi di una forza-lavoro che presenti
caratteristiche nettamente diverse da quelle appartenenti all'operaio massa:
"polivalente", in grado di "lavorare comunicando", di relazionarsi con
l'esterno (il cliente-consumatore), là dove è richiesto; e, soprattutto di
aderire senza riserve agli obiettivi dell'impresa. "Quando è il mercato
delle merci che comanda, che impone quantità e qualità in tempo reale, il
lavoro diventa sempre più costrittivo: bisogna dimostrarsi disponibili
all'obbedienza, alla fedeltà, pena il rischio della perdita del posto".
Questo "rischio" che incombe continuamente sul capo del lavoratore
immateriale post-fordista, alla lunga contribuisce a mutarne i connotati
politico-culturali, rendendolo profondamente dissimile dall'"antenato
fordista". Tanto quello era conflittuale, sindacalizzato, combattivo, tanto
questo è accomodante, disponibile, "servile". E per due ragioni di fondo:
perché pur di non perdere il lavoro conquistato a fatica (e, il più delle
volte in subappalto, cioè senza alcuna garanzia giuridica; il subappalto
consente di selezionare forza-lavoro anche in base al criterio delle minori
pretese economiche) è disposto a non vedersi riconosciuti in busta paga i
costi di formazione, aggiornamento, "presentabilità". (Nel paragrafo che dà
il titolo al libro, Marazzi dimostra come l'equiparazione del lavoro
domestico dell'uomo a quello della donna, sebbene formalmente e
giuridicamente sancita, sia nella pratica poco più che un'astrazione: storia
e cultura femminile rendono il lavoro delle donne qualitativamente
superiore. Ad ogni modo , l'attività domestica, svolta per rendere
socialmente presentabile il proprio compagno non solo è relativamente meno
faticoso di una volta, giacché le regole estetiche oggi invalse - che
impongono, mettiamo, il cambio della camicia ogni due giorni - concorrono a
rendere meno efficace il soccorso delle nuove tecnologie, ma ha mutato
natura: alla donna, infatti, viene richiesto sempre più spesso un notevole
investimento intellettuale in pubbliche relazioni, cultura, amicizie, ecc.).
E, in particolar modo, di quel complesso di mansioni
comunicativo-relazionali che rappresentano l'essenza del lavoro
post-fordista.
Eppure, questo soggetto collettivo, definito "cognitariato", appartenente
alla galassia informe del ceto medio produttivo, dalle forti pulsioni
antistataliste, in costante declino sociale dall'inizio della recessione
americana (1989-90) ed europea (1993-94), che lotta strenuamente per evitare
la deriva materiale, costituisce il nuovo "capitale fisso" dell'impresa. Con
la progressiva immaterializzazione dei mezzi di produzione, i beni immobili
e strumentali dell'impresa (capannoni, macchinari, terreni, nuove
tecnologie) diventano soltanto una parte, e la meno strategica del "capitale
fisso": "costituito [invece] dall'insieme dei rapporti sociali e di vita,
dalle modalità di produzione e di acquisizione delle informazione che,
sedimentandosi nella forza-lavoro, vengono poi attivate lungo il processo di
produzione". Per tale motivo, la vera innovazione d'impresa non consiste
tanto nell'investimento in nuove tecnologie, ma nel favorire la crescita del
"capitale cognitivo identitario"; nel rendere produttivo quell'insieme di
retaggi socio-culturali di tradizioni, comportamenti, rapporti sociali,
propri di un particolare ambito locale - che una volta venuti a "contatto
col lavoro vivo, producono ricchezza".
La seconda ragione, consiste nel fatto che il lavoratore post-fordista è
privo di diritti universali, il cui riconoscimento cioè, prescinda da
comportamenti personali, razza, provenienza, identità. Ad un mercato del
lavoro regolato da norme più o meno rigide, frutto della composizione degli
interessi delle parti sociali, è subentrato un mercato in cui dominano
arbitrio, differenziazione, frammentazione; un "feudalesimo industriale" che
discrimina o include, in base a decisioni unilaterali e non appellabili. "In
questa trasformazione reale del modo di produrre - si legge a pagina 36 -
affonda le proprie radici il modello di 'democrazia totalitaria', di
democrazia senza diritti che si trova dinanzi a noi come scenario del tutto
possibile".
E' nel delineare i contorni di questo "scenario", aperto dalla "svolta
linguistica dell'economia", che Marazzi dà il meglio di sé. Il campo di
analisi dalle questioni concernenti la produzione e il mondo del lavoro, si
sposta ai problemi riguardanti la crisi della politica, delle istituzioni e
delle forme classiche della rappresentanza democratica. Ma senza soluzione
di continuità: poiché è nella sovrapposizione di "agire produttivo" (proprio
dell'economia) e "agire comunicativo" (proprio della politica), che vanno
ricercate le cause delle ormai croniche crisi destabilizzanti. Il
rimescolamento che ne deriva impedisce di fornire risposte razionali a tutta
una serie di questioni, soprattutto sociali, facendo ricorso agli strumenti
tradizionali della politica (forgiati, cioè, quando la separazione fra sfera
economica e sfera politica era netta).
Non è qui possibile seguire il labirinto di passaggi ed argomentazioni per
altro molto suggestive, attraverso cui si giunge a chiudere il cerchio del
ragionamento. Il filo che unisce modo di produzione post-fordista, alla
crisi della politica, delle istituzioni e della democrazia
(post-rappresentativa) è lungo e tortuoso. Tuttavia, potrebbe risultare
degno di un qualche interesse isolare un frammento di questo vasto
argomentare, allo scopo di proporre un punto di vista altro: diverso, se non
addirittura opposto nelle conclusioni, da quello che ha corso su Ora
Locale .
La parte conclusiva del lavoro è dedicata a confutare quelle correnti di
pensiero politico (e sociale) secondo le quali in ambito locale si
troverebbero ancora spazi sufficienti per dare rappresentanza democratica ai
senza diritti: immigrati, tossicodipendenti ecc. Ora, sostiene Marazzi, la
delega alla società civile della soluzione delle emergenze sociali - che per
la politica e le istituzioni, costituiscono un intoppo al funzionamento
just-in-time della democrazia, e vanno quindi affrontate su un piano
tecnico-amministrativo - si scontra con le molte resistenze presenti sul
territorio. Le cronache quotidiane sono piene di proteste organizzate da
cittadini che rifiutano di ospitare nel proprio quartiere, comune,
territorio, servizi sociali destinati all'accoglienza di immigrati, malati
di Aids, tossicodipendenti. "Il localismo - conclude - è il luogo in cui si
condensano rapporti di potere ancora di tipo feudale [...], in cui la difesa
dello spazio raggiunge facilmente livelli da 'guerra di quartiere'". Allora
- e siamo alla parte propositiva - occorre andare verso uno "stato
extraterritoriale": partire, come nel caso del "compromesso urbano"
raggiunto a Ginevra e Basilea, fra tossicodipendenti, associazioni della
società civile, abitanti, dal vissuto concreto; da un "progetto immateriale"
comune. E non dalle cose da fare.
Soltanto fornendo voce al vissuto delle parti in causa, si possono evitare
gli scontri tribali per il controllo del territorio, con tutto il corredo di
razzismo, xenofobia, paura del 'diverso', domanda di controllo sociale, che
ne caratterizza il manifestarsi. E sottrarre alla segregazione spaziale i
senza diritti. Il volto bieco della "democrazia totalitaria", incombe su
tutti (potenti esclusi). Oggi tocca agli sradicati, ai non inclusi, ai rom;
domani potrebbe venire il nostro turno.