Ora Locale

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Agire produttivo e agire comunicativo

di Michelangelo Cimino


Il libro di Christian Marazzi (Il posto dei calzini, Bollati Boringhieri 1999), non può considerarsi un semplice segno, tracciato con mano insicura, sul foglio bianco del caos che ci circonda. Al contrario, esso è un tentativo, a suo modo compiuto, di sondarne l'interna razionalità, rintracciare l'elemento "ordinatore", risalire al principio costitutivo.
L'onda d'urto che genera incertezza, sbandamento, malessere sociale, instabilità politica ed economica, crisi di senso e di prospettive, si forma all'interno dei nuovi processi di produzione post- fordista - in conseguenza della centralità assunta dalla comunicazione - informazione (e, quindi, dal lavoro immateriale).
Ciò che nell'organizzazione de lavoro fordista-taylorista, scandita da tempi e mansioni definite e lineari, costituiva un forte elemento di disturbo, un pesante intralcio allo snodarsi delle varie fasi della produzione ("la catena di montaggio era muta"), ora acquista un ruolo primario. In epoca post-fordista, la comunicazione all'interno della fabbrica, dell'azienda di servizi o di distribuzione (fra addetti, settori, reparti), e il flusso di informazioni proveniente dall'esterno (dai lettori ottici dei gradi punti vendita e dall'uso delle carte di credito, che censiscono i gusti del consumatore-utente), diventano parte integrante dello stesso processo produttivo: "la comunicazione entra in produzione".
Se, grazie alle nuove tecnologie informatiche, al linguaggio elementare, "logico-formale", di cui esse sono portatrici, qualunque lavoratore di una moderna azienda, non fosse in grado di espletare, in qualsiasi momento, una delle molteplici funzioni necessarie alla produzione in tempo reale (just-in-time), facendo ricorso alla comunicazione-informazione, la macchina produttiva entrerebbe immediatamente in crisi. "Di fatto - scrive Marazzi - la comunicazione lubrifica l'intero processo produttivo, dal punto di distribuzione-vendita delle merci al punto di produzione e ritorno".
La fabbrica snella, pensata per conciliare l'inconciliabile: ridurre i costi, aumentare la produttività, azzerare le scorte, deve rispondere just-in-time alle sollecitazioni del mercato. Come poi diventi concretamente possibile concorrere su un mercato globalizzato, saturo (non in grado di assorbire una produzione di massa) e rispondere in tempo reale ad ogni minima variazione della domanda, è spiegabile, almeno in parte, risalendo alle cause che hanno determinato i licenziamenti di massa degli ultimi anni.
Le gigantesche ristrutturazioni cui abbiamo assistito dall'inizio del decennio in corso (e che nel Mezzogiorno, fra il 1992 e il 1998, hanno portato ad una perdita di circa 600.000 posti di lavoro e , contestualmente, alla creazione di poche decina di migliaia di lavori, precari e a tempo determinato), sono l'effetto più immediato e meglio percepibile del nuovo modo di produzione post-fordista. L'azienda, per tener testa ad una moltitudine di concorrenti agguerriti, taglia drasticamente i costi: espelle cioè forza-lavoro ed esternalizza interi segmenti della produzione (con la pratica del subappalto), sì da conseguire notevoli risparmi alle voci contributi e oneri sociali. In secondo luogo, si "riconfigura" - come si dice con espressione mutata dal linguaggio informatico - ; riorganizza il processo produttivo, servendosi di una forza-lavoro che presenti caratteristiche nettamente diverse da quelle appartenenti all'operaio massa:
"polivalente", in grado di "lavorare comunicando", di relazionarsi con l'esterno (il cliente-consumatore), là dove è richiesto; e, soprattutto di aderire senza riserve agli obiettivi dell'impresa. "Quando è il mercato delle merci che comanda, che impone quantità e qualità in tempo reale, il lavoro diventa sempre più costrittivo: bisogna dimostrarsi disponibili all'obbedienza, alla fedeltà, pena il rischio della perdita del posto".
Questo "rischio" che incombe continuamente sul capo del lavoratore immateriale post-fordista, alla lunga contribuisce a mutarne i connotati politico-culturali, rendendolo profondamente dissimile dall'"antenato fordista". Tanto quello era conflittuale, sindacalizzato, combattivo, tanto questo è accomodante, disponibile, "servile". E per due ragioni di fondo: perché pur di non perdere il lavoro conquistato a fatica (e, il più delle volte in subappalto, cioè senza alcuna garanzia giuridica; il subappalto consente di selezionare forza-lavoro anche in base al criterio delle minori pretese economiche) è disposto a non vedersi riconosciuti in busta paga i costi di formazione, aggiornamento, "presentabilità". (Nel paragrafo che dà il titolo al libro, Marazzi dimostra come l'equiparazione del lavoro domestico dell'uomo a quello della donna, sebbene formalmente e giuridicamente sancita, sia nella pratica poco più che un'astrazione: storia e cultura femminile rendono il lavoro delle donne qualitativamente superiore. Ad ogni modo , l'attività domestica, svolta per rendere socialmente presentabile il proprio compagno non solo è relativamente meno faticoso di una volta, giacché le regole estetiche oggi invalse - che impongono, mettiamo, il cambio della camicia ogni due giorni - concorrono a rendere meno efficace il soccorso delle nuove tecnologie, ma ha mutato natura: alla donna, infatti, viene richiesto sempre più spesso un notevole investimento intellettuale in pubbliche relazioni, cultura, amicizie, ecc.). E, in particolar modo, di quel complesso di mansioni comunicativo-relazionali che rappresentano l'essenza del lavoro post-fordista.
Eppure, questo soggetto collettivo, definito "cognitariato", appartenente alla galassia informe del ceto medio produttivo, dalle forti pulsioni antistataliste, in costante declino sociale dall'inizio della recessione americana (1989-90) ed europea (1993-94), che lotta strenuamente per evitare la deriva materiale, costituisce il nuovo "capitale fisso" dell'impresa. Con la progressiva immaterializzazione dei mezzi di produzione, i beni immobili e strumentali dell'impresa (capannoni, macchinari, terreni, nuove tecnologie) diventano soltanto una parte, e la meno strategica del "capitale fisso": "costituito [invece] dall'insieme dei rapporti sociali e di vita, dalle modalità di produzione e di acquisizione delle informazione che, sedimentandosi nella forza-lavoro, vengono poi attivate lungo il processo di produzione". Per tale motivo, la vera innovazione d'impresa non consiste tanto nell'investimento in nuove tecnologie, ma nel favorire la crescita del "capitale cognitivo identitario"; nel rendere produttivo quell'insieme di retaggi socio-culturali di tradizioni, comportamenti, rapporti sociali, propri di un particolare ambito locale - che una volta venuti a "contatto col lavoro vivo, producono ricchezza".
La seconda ragione, consiste nel fatto che il lavoratore post-fordista è privo di diritti universali, il cui riconoscimento cioè, prescinda da comportamenti personali, razza, provenienza, identità. Ad un mercato del lavoro regolato da norme più o meno rigide, frutto della composizione degli interessi delle parti sociali, è subentrato un mercato in cui dominano arbitrio, differenziazione, frammentazione; un "feudalesimo industriale" che discrimina o include, in base a decisioni unilaterali e non appellabili. "In questa trasformazione reale del modo di produrre - si legge a pagina 36 - affonda le proprie radici il modello di 'democrazia totalitaria', di democrazia senza diritti che si trova dinanzi a noi come scenario del tutto possibile".
E' nel delineare i contorni di questo "scenario", aperto dalla "svolta linguistica dell'economia", che Marazzi dà il meglio di sé. Il campo di analisi dalle questioni concernenti la produzione e il mondo del lavoro, si sposta ai problemi riguardanti la crisi della politica, delle istituzioni e delle forme classiche della rappresentanza democratica. Ma senza soluzione di continuità: poiché è nella sovrapposizione di "agire produttivo" (proprio dell'economia) e "agire comunicativo" (proprio della politica), che vanno ricercate le cause delle ormai croniche crisi destabilizzanti. Il rimescolamento che ne deriva impedisce di fornire risposte razionali a tutta una serie di questioni, soprattutto sociali, facendo ricorso agli strumenti tradizionali della politica (forgiati, cioè, quando la separazione fra sfera economica e sfera politica era netta).
Non è qui possibile seguire il labirinto di passaggi ed argomentazioni per altro molto suggestive, attraverso cui si giunge a chiudere il cerchio del ragionamento. Il filo che unisce modo di produzione post-fordista, alla crisi della politica, delle istituzioni e della democrazia (post-rappresentativa) è lungo e tortuoso. Tuttavia, potrebbe risultare degno di un qualche interesse isolare un frammento di questo vasto argomentare, allo scopo di proporre un punto di vista altro: diverso, se non addirittura opposto nelle conclusioni, da quello che ha corso su Ora Locale .
La parte conclusiva del lavoro è dedicata a confutare quelle correnti di pensiero politico (e sociale) secondo le quali in ambito locale si troverebbero ancora spazi sufficienti per dare rappresentanza democratica ai senza diritti: immigrati, tossicodipendenti ecc. Ora, sostiene Marazzi, la delega alla società civile della soluzione delle emergenze sociali - che per la politica e le istituzioni, costituiscono un intoppo al funzionamento just-in-time della democrazia, e vanno quindi affrontate su un piano tecnico-amministrativo - si scontra con le molte resistenze presenti sul territorio. Le cronache quotidiane sono piene di proteste organizzate da cittadini che rifiutano di ospitare nel proprio quartiere, comune, territorio, servizi sociali destinati all'accoglienza di immigrati, malati di Aids, tossicodipendenti. "Il localismo - conclude - è il luogo in cui si condensano rapporti di potere ancora di tipo feudale [...], in cui la difesa dello spazio raggiunge facilmente livelli da 'guerra di quartiere'". Allora - e siamo alla parte propositiva - occorre andare verso uno "stato extraterritoriale": partire, come nel caso del "compromesso urbano" raggiunto a Ginevra e Basilea, fra tossicodipendenti, associazioni della società civile, abitanti, dal vissuto concreto; da un "progetto immateriale" comune. E non dalle cose da fare.
Soltanto fornendo voce al vissuto delle parti in causa, si possono evitare gli scontri tribali per il controllo del territorio, con tutto il corredo di razzismo, xenofobia, paura del 'diverso', domanda di controllo sociale, che ne caratterizza il manifestarsi. E sottrarre alla segregazione spaziale i senza diritti. Il volto bieco della "democrazia totalitaria", incombe su tutti (potenti esclusi). Oggi tocca agli sradicati, ai non inclusi, ai rom; domani potrebbe venire il nostro turno.

Christian Marazzi, Il posto dei calzini - La svolta linguistica dell'economia e i suoi effetti sulla politica, Bollati Boringhieri, Torino 1999, pp. 133, 24.000.


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