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Lavoro e disoccupazione secondo Tommaso Campanella


di Franco Bifarella



Stavo rileggendo La Città del Sole di Tommaso Campanella, spinto dall'ottimo e quanto mai opportuno lavoro teatrale "Il velo e la sfida" di Enzo Costabile, allorché mi è stato recapitato l'ultimo numero di Ora Locale . Come al solito, ho tralasciato tutte le altre letture per poter esaurire prima il giornale.
Per sovrapposizione di idee, non ho potuto fare e meno di esaminare i problemi posti nella nostra rivista secondo la logica, la filosofia e, perché no, la metafisica campanelliana nella quale mi trovavo avventurosamente immerso prima dell'arrivo del giornale.
Già quando avevo letto che nella Città del Sole [...] non tocca faticar quattro ore al giorno per uno [...] mi ero reso conto come già nel famoso testo del Campanella, oggi quasi dimenticato malgrado la sua sconvolgente attualità, ci siano elementi tali da fare arrossire di vergogna il povero Bertinotti e le sue 35 ore, mentre escludo categoricamente che possa, invece, arrossire il molto onorevole Cossutta.
Sempre restando sul tema del lavoro, mi sembra che il modo di affrontare la questione del Campanella sia molto più moderno, attuale e scientifico delle stesse proposte di Ora Locale . Dopo aver stabilito che quattro ore al giorno bastano e avanzano nella Città del Sole per vivere bene, spiega come nella società dell'epoca (e qui il poeta rivoluzionario prende in esame la Napoli dei suoi tempi) su 300.000 abitanti, solamente 50.000 lavorano, mentre i restanti 250.000 [...[ si perdono anche per l'ozio, avarizia, lascivia ed usura, e molta gente guastano tenendole in servitù e povertà o fandoli partecipi di lor vizi, talché manca il servizio pubblico, e non si può il campo, la milizia e l'arte fare, se non male e con stento . Con questa concisa, attualissima analisi, Campanella, da buon predicatore nonché organizzatore di rivolte, oltre ad attaccare duramente i potenti dell'epoca, ci spiega efficacemente le origini della mancanza o carenza di servizi pubblici e approvvigionamenti agricoli e artigianali locali. E con ciò quasi prefigura la nascita del moderno volontariato quale soluzione del problema.
Allorché per porre un qualche rimedio alla dilagante disoccupazione della quale non si intravede né soluzione di continuità né tanto meno inversione di tendenza, si è costretti ad inventare il salario di cittadinanza, non si tiene in nessuna considerazione il fatto che nelle metropoli industriali i tempi del faticare sono rimasti come quelli dell'inizio secolo se non peggiorati (almeno nei ritmi e nello stress), come dimostrano alcuni attuali episodi di cronaca, ultimo dei quali il bambino dimenticato e morto in macchina. E anche qui ci soccorre, per certi versi, il Campanella: [...] e li sapienti non si fanno generatori; [...] perché essi, per le molte speculazioni han debole lo spirito animale, e non trasfondeno il valor della testa, perché pensano sempre a qualche cosa; onde triste razza fanno . Occorrerebbe esaminare il calo delle nascite nei paesi industrializzati anche da questo punto di vista.
Se la produzione capitalistica continuerà a creare da una parte poli a fortissima concentrazione di intenso sforzo lavorativo e dall'altra a espellere intere popolazioni e continenti da qualsiasi logica produttiva, non si risolverà un bel nulla assegnando a tali poli produttivi oltre all'onere d'invadere il mondo con le loro merci, anche il compito di provvedere alla sopravvivenza delle popolazioni, la rese inutili al lavoro e alla vita stessa.
Se non si ha la capacità di affrontare i due corni del dilemma in maniera dialettica, da questa situazione non si uscirà mai, anzi, le cose si aggraveranno sempre più in quanto si creeranno ulteriori divisioni e barricate, questa volta non tra proletari e capitalisti ma tra lavoratori e disoccupati, fra immigrati e residenti.



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