Almeno per due aspetti questo agile
"studio" di Franco Piperno ci richiama alla mente un "genere" e un "tema"
propri della cultura dell'eta' dei Lumi: il genere e' quello dello "eloge",
il tema e' quello dello "spirito pubblico". L'elogio, come si sa, e' in
quell'epoca non una forma letteraria retorica, bensi' la individuazione
e la forte indicazione di preminenza di caratteri, di qualita', di elementi
costitutivi che contrassegnano una "figura"; il tema dello "spirito pubblico"
e' assai ricorrente nei testi degli illuministi meridionali: qui sta a
significare un soggetto "assente" che va formato, va educato, affinche'
si compia quella "rivoluzione ragionevole" necessaria a modificare la vita
civile e sociale del regno meridionale in direzione di quella "modernita'"
disegnata dagli ideali illuministici. I richiami, pur non del tutto estrinseci,
possono finire, qui, perche' in realtˆ l'autore prende intelligentemente
in prestito quel "genere" e quella "figura", ma non va molto piu' oltre.
L'elogio che fa Franco Piperno e' una sottile quanto vivace polemica con
la idea di "modernita'" considerata un veleno che da sempre, dall'Unita'
ad oggi, minaccia le radici stesse della psiche culturale e sociale meridionale,
minaccia quello "spirito pubblico" che e' una forma di vita intessuta di
tradizione, storia, costume, linguaggio, una struttura ricca che non puo'
essere impoverita o devastata dal trapianto di modelli estrinseci capaci
di, avviare radicali processi di cancellazione. Ma si puo' saltare oltre
e fuori di essi? Si puo' recuperare quello che ancora non e' stato sradicato?
si puo', piuttosto che controllare e dirigere, del tutto arginare spinte
al cambiamento che si affacciano, sia pure in successione disordinata,
da tutte le parti? Quello che piu' propriamente vuol compiere Franco Piperno,
lungo un linea "elogiativa", di riflessione e di analisi, e' un "esodo
biblico" (un "esodo semantico") da luoghi comuni, stereotipi linguistici,
schematismi storiografici, da tutto l'orizzonte della "temporalita' moderna",
per attraversare, con i mezzi di una indagine piu' fenomenologica e psicologica
che sociologica e storica, tutto l'arco e la dimensione della "localita'"
meridionale, dove le "forme di vita", i "sentimenti pubblici", lungi dall'essere
"relitti premoderni" che attendono di essere sostituiti da una "ideologia
della modernita'", sono invece una ricchezza nascosta, in cui fermenta
un nuovo modo di sentire il "tempo comune". contro questa idea della "modernita'",
con i suoi ritmi temporali astratti ed i suoi criteri riduttivi di misurazione,
trasformata in un feticcio e posta al centro delle anguste vedute del meridionalismo,
sembra rivolgersi il richiamo dell'"elogio" ad una "ricerca del tempo perduto"
lo "spirito pubblico" meridionale dalle trappole e dai congelamenti in
cui i portatori della "infausta" modernitˆ vorrebbero imprigionarlo ed
essiccarlo: una simbolica, una semantica, una mnemonica, una scenografia
municipalistica. Sono il tempo "locale" antico che si rifa' vita, linguaggio,
pensiero, senso comune, antidoto efficace per la matematica, l'economia
e la politica dello sviluppo. L'asse centrale di una buona parte del libro
e dunque qui, ma tutto il resto non scorre invano, contiene anch'esso suggestive
affermazioni e provocazioni; anzi quel che e' incalzante e vivace e' proprio
la natura audacemente provocatoria dell'analisi: si prenda quell'affermazione:
il comunismo come "regola di vita" "sonnecchia latente nella nostra vita
quotidiana"; o la parte sul "nuovo calendario", sulla "destrutturazione
del tempo", sulla "economia del non lavoro"; o le parti maggiormente epistemologico-filosofiche sulle operazioni del pensare, sul computer.
Non e' difficile da tutto questo trarre una linea coerente di pensiero "alternativo" ("debole?") che culmina nel disegno di una nuova fisionomia della citta' e di una figura di cittadino quale "individuo sociale". L'"esprit philosophique" che tocchiamo a piene
mani in queste pagine e' semplicemente una "pruderie" e del suo autore
o non anche la fine lettura, piena di tanta passione, che un protagonista
di quella fase incandescente ed assai dolorosa della nostra storia recente
che e' il '68, compie volendo dare corpo, voce e senso ad un nuovo capitolo
della lotta sociale all'interno di un mondo e di una realta' antropologica
che sembrano al nostro autore ribelli ai morsi della "modernita'"? E' certo
che questo libro, che ha uno spessore culturale non di poco rilievo, puo'
essere considerato, sul fronte delle radicali denuncie del "feticcio della
modernita'", un "ri-pensamento" assai penetrante della "alternativa localistica".
(Franco Piperno, Elogio dello spirito pubblico meridionale, Manifesto libri,
Roma, 1997).