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Dedalus. La poesia stridente della tradizione

di Carlo Fanelli


Lo stimolo versola riproduzione di canoni espressivi e prassi legate alla tradizione ha trovato, nel corso della sua evoluzione, una vasta gamma di manifestazioni. Essenzialmente il rapporto stabilito fra la contemporaneità e le forme del folklore, qualsiasi esse siano state, hanno costitutito un importante punto di partenza, proiettato nel passato, nella ricerca di identità e riferimenti socio-culturali. È vero, comunque, che tale concetto ha anche assunto caratteri non univocamente riferiti al passato, appunto, da recuperare o da rivivere, indirizzandosi invece verso elementi del quotidiano, rivolgendosi quindi al nostro tempo.
Ad esempio, nel caso della musica, si può considerare come la fusione di sonorità essenzialmente moderne, come quelle di certo jazz, sempre più spesso vengano utilizzate funzionalmente ad esprimere testi e strutture armoniche di remota provenienza. Questa forma di contaminazione - termine oggi abbastanza inflazionato, ma efficace ad esprimere il senso dell'operazione - si trova alla base del nuovo disco, dall'omonimo titolo, dei Dedalus (registrato nel 1999, e che segue altri due album dal titolo Singolarefemminile e il doppio La terra delle ginestre). Vi si propone una sorta di incontro fra sonorità "recuperate" dalla tradizione, o che da questa vengono fortemente influenzate, e la maniera più aggiornata di arrangiare la canzone d'autore. La rivalutazione del patrimonio semi-sommerso di suoni e testi, tentata da questo gruppo musicale, è portata avanti con un approccio mai patetico o nostalgico, contando su di un lavoro compositivo e un'evoluzione degli arrangiamenti a suo modo colti, certamente lontano da secolari "piagnistei" sulla subordinata condizione delle genti calabre.
Questa nuova fatica discografica del gruppo calabrese, rappresenta uno degli esempi di punta di una generazione che ha fatto del recupero e rielaborazione di musiche tradizionali il centro della propria attività. Si pensi, ad esempio a quanto prodotto dai Re Niliu e dai Phaleg, altri due gruppi che nella regione hanno portato avanti un'interessante operazione sul folklore musicale (lasciando da parte, in questa sede, tutta una schiera di esecutori, soprattutto dilettanti, di musica tradizionale legata alla danza). Rispetto agli esempi citati, questa ultima esperienza discografica dei Dedalus, si differenzia essenzialmente per l'indirizzo degli arrangiamenti. Questi, infatti, appaiono tesi verso ambientazioni e sonorità meno ruvide, maggiormente discostate dal folk (anche da quello molto sfruttato di derivazione anglosassone), più marcatamente jazzate. Tale determinazione è da ascrivere ad una sorta di dichiarazione di intenti, operata dai Dedalus, rispetto al panorama regionale, cioè quella di tenere fede alla tradizione, riproponendola però in modo inedito e maggiormente "esportabile".
Un altro elemento che distingue questo nuovo disco dei Dedalus è l'assenza della zampogna e della lira calabrese, due strumenti che marcano incisivamente la musica folklorica della regione, e che altri gruppi, a livelli diversi, sfruttano più diffusamente. L'unico strumento tradizionale adoperato è la chitarra battente, il cui uso, per caratteristiche timbriche proprie, appare fondamentale per conferire un tono evocativo alla musica, effetto intensificato dalle percussioni. Le sue tipiche sonorità sifondono, poi, con gli altri strumenti a corda nel caso delle composizioni che più marcatamente si indirizzano alla drammaticità ed "epicità" dei suoni. Mentre nei brani dove è la melodia a prevalere e ad accompagnare il verso, indirizzandosi doppiamente verso atmosfere antiche e tese all'idillio, la struttura è retta dal contrabbasso ad arco e dal flauto. Contemporaneamente lo spiccato senso di "contaminazione", a livello strumentale, fuoriesce dall'uso della chitarra fretless di Lutte Berg e di percussioni, come il tamani e il djembe, suonate da Baba Sissoko. È questa componente che in modo primario definisce il senso di novità espresso nel disco, la particolare definizione degli arrangiamenti, nei quali il suono fretless conferisce sonorità tipiche del jazz elettrico più recente, mentre le impennate etniche sono assecondate dalle percussioni africane. Questo incontro di suoni rappresenta una delle ultime frontiere della musica tradizionale, criterio che largamente diffuso, è oramai sfruttato per riproporre materiali legati a diverse tradizioni. Si salvano l'essenza e i significati del folklore, reinterpretando quest'ultimo in modo da renderlo più diffusamente fruibile.
L'operazione proposta dai Dedalus conserva del purismo filologico soltanto la serietà nell'approccio artistico e nella ricerca di testi e temi; il rigore e la norma, bloccanti l'ispirazione, sono elegantemente scavalcati dalla passione radicale verso la propria terra; i lacci formali sono elusi dall'intreccio spesso non semplice ed immediato fra testo e musica. Ricorre in questo il compromesso fra la ricercata armonizzazione strumentale, calibrata e rotonda, e l'asprezza che è propria del dialetto, sia nella componente linguistico-fonetica che in quella simbolica. Tale sfasatura timbrica rappresenta, tra l'altro, una delle ricchezze dell'ensemble, poiché non viene mai smussata la spigolosità tipica del verso dialettale, e mai quest'ultimo appare subordinato ad una partitura tonalmente più lineare e mitigata. L'alterità fra parola e suono viene mantenuta, sebbene fra queste venga comunque posta in atto una dialettica frenetica, e il lavoro di scavo folklorico sia operato in modo fortemente indirizzato dall'uso delle parole.
Sapiente, appare, l'accostamento fra gli strumenti che di volta in volta accompagnano i vari brani e la scelta dei versi. La musica, infatti, si pone al completo servizio dei testi (seppure nel rispetto dell'anzidetta dialettica), introducendone il senso con appropriati fraseggi e passaggi melodici. Lo sguardo è costantemente rivolto all'interno delle proprie tradizioni, non dimenticando, però, la necessità di trasmettere, e nel modo più ampio possibile, il senso del progetto che è volto ad aprire le proprie frontiere oltre ogni localismo e particolarismo di sorta, anche per quanto riguarda lo sfruttamento di sonorità "mediterranee".
Sempre presente è il richiamo alla terra, alla natura selvaggia assimilata all'animo umano. La poesia dell'antico divenire naturale delle cose si sposa alla valenza espressiva del verso, nel quale semplici parole introducono l'ascoltatore, non in modo limitatamente ermetico, al quotidiano e all'intimità. Non si tratta di nostalgia del passato, bensì di esprimere il desiderio, urgente e quotidiano, di poggiare il proprio animo sopra un senso preciso di appartenenza, senza chiudersi intorno ad esso, ma con orgoglio interpretarlo all'interno della propria esistenza. Il tentativo, vista la situazione del panorama tradizionale calabrese, le sue fratture, le sue lacune, le sue perdite, benché arduo, è riuscito.
L'intento non è quello di soffermarsi sul particolare, sebbene si contempli un panorama tradizionale, quindi comunque limitato ad un gruppo di elementi, ma si pone in atto il tentativo di connotare l'operazione - proposta dai Dedalus - superando il dialetto e il suo territorio d'origine, e parlando erga omnes attraverso la semplicità della natura e di simboli supremi, la natura, la violenza del sentimento e la sua urgenza drammatica, quel senso del tragico radicato nella tipica espressività della gente del luogo. Contemporaneamente si recuperano, in modo vivificante, alcuni nessi della tradizione calabrese, evolvendone comunque la loro potenziale espressività.
Lo spirito che vive fra musica e parole è animato da una pulsione vitale verso gli elementi della natura, caratteristica tipica di molte espressioni culturali del luogo. Vi si agita un afflato, una tensione quasi mistica verso la propria storia, sulla quale si basa l'armonica locale convivenza di etnie differenti che, radicandosi e uniformandosi al territorio, senza disperderne completamente la memoria, hanno arricchito con le proprie tradizioni un panorama folklorico variegato e antico come quello calabrese. Tipica e modulante è l'attenzione verso la semplicità delle cose, l'essenzialità degli elementi, che connota la storia di tutta la regione, le cui tradizioni, pur non potendo confidare su di una koinè consolidata e unitaria, rappresentano ancora una via di fuga verso un senso di inadeguatezza tutto moderno e "tecnologico".
Nei testi dei Dedalus il richiamo alla terra è forte, se ne avverte l'odore e la sensazione del contatto fisico, accompagnata efficacemente dalla musica, e la dicotomia fra la sofferenza della vita e l'intensità emotiva connessa a questa dimensione esistenziale, si avverte in tutta la sua veemenza. Sono limitati e scelti i "luoghi visitati", domestici o naturali; fra questi viene messa molto bene alla luce anche la rabbia, un tema cheè testimone secolare del carattere ondivago dei calabresi: "a raggia e' cumu l'acqua e cumu u pani / nun ti fa mora i friddu fa campari / portati appriessu a raggia nun t'ha scurdari / ca senza raggia nun c'è nenti e fari". Gli elementi della natura sono ugualmente ritratti come determinanti il corso della vita e delle cose dell'uomo, componenti essenziali di un mondo arcaico che vive in ciascuno di noi come retaggio e supporto culturale ed emotivo. L'acqua, il sole, la terra, il pane, sono tutti simboli eterni che perdono la loro "sacralità" irraggiungibile, per essere accolti nel sentire vivo e quotidiano di ciascuno.




I Dedalus vantano ormai una più che ventennale carriera che li ha visti proporre il loro repertorio, oltre che in Italia, anche in diverse nazioni straniere. Il gruppo è composto da:
Mario Artese: voce, chitarra battente;
Sergio Artese: contrabbasso;
Paola Dattis: voce;
Tina Muto: contrabbasso ad arco;
Checco Pallone: chitarra classica, acustica e tamburelli;
Giuseppe Pallone: mandola, mandolino;
Fabio Pepe: flauto.
Lutte Berg: chitarra classica, acustica e fretless
Baba Sissoko: tamani, djembe.

I testi sono di Enzo Costabile.

Relativamente all'ultimo disco, dal titolo omonimo:
Produzione: Cielozero per Teatro del Sole
Produzione artistica: Dedalus
Registrato a Cosenza nel 1999 presso lo Studio Dedalus

Edizioni musicali e distribuzione:
Teatro del Sole/Cielozero
Via Onorato, 44 - Palermo
Tel. 091/327274
Lungotevere Flaminio, 74 - Roma
Tel. 06/3222322
www.r-3.it/teatrodelsole - cielozero@tin.it

Promozione e managment:
Maurizio Cuzzocrea - Associazione Abbaliati



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