Quali considerazioni ti hanno portato alla tua ultima pubblicazione su Pasolini?
Nel mio percorso intellettuale l'incontro con Pasolini segna un punto d'arrivo, la meta di tutto un itinerario culturale e ideale nel quale sono confluiti istinti, passioni, visione del mondo, istanze, atteggiamenti utopici, scelte etico-comportamentali. La fase che mi ha portato alla realizzazione del libro Il mondo non sa nulla. Pasolini poeta e "diseducatore" (Jonia Editrice, Cosenza, 1996) può essere compresa tra il 1988 ed il 1996. La prima idea mi venne leggendo un testo di Mario Serenellini (I diseducatori. Intellettuali d'Italia da Gramsci a Pasolini, Dedalo, Bari, 1985), che analizza quelle figure di intellettuali anticonformisti che hanno inciso sulla recente storia italiana, specie per quanto riguarda il rapporto con le masse e, più genericamente, con il sociale, attuato attraverso gli strumenti pedagogici ed i canali mass mediali, dai libri ai giornali, dalla radio alla televisione e al cinema. Pasolini tuttora per me è l'incarnazione del maestro parresiasta, che educa al contrario, cioè non ai disvalori del potere e dell'industria, ma a quelli della libertà che rigetta l'omologazione, il perbenismo benpensante, la dittatura del modello piccolo-borghese, l'egemonia del consumismo e la retorica del progresso tecnocratico: un "diseducatore", quindi, un poeta, un utopista, che ha cercato di coniugare letteratura e vita, poesia e morale, etica e politica, pagando a caro prezzo la sua condizione, la sua coerenza e la sua anarchica vocazione pedagogica.
Chi ha raccolto oggi questi temi ed umori tra gli scrittori contemporanei?
E' davvero compito ingrato cercare di identificare giovani intellettuali che abbiano in qualche modo raccolto l'eredità pasoliniana. Non so, penso al compianto Sandro Onofri, alla sua figura di scrittore e intellettuale teso a interpretare vita e destini degli umani, oltre gli schemi e i compiacimenti della letteratura nostrana (segnalo soprattutto gli splendidi reportages Vite di riserva e Le magnifiche sorti, oltre al diario postumo Registro di classe); oppure, penso, per certi versi, a Mario Fortunato e a quel continuo rimando tra vita e libro che è presente nei suoi scritti (cito, ad esempio, Amore, romanzi e altre scoperte); o all'indimenticato Pier Vittorio Tondelli, attento e acuto osservatore dell'universo giovanile, tema molto caro a quel maestro naturale che fu Pasolini; o, infine, al poeta pugliese Giuseppe Goffredo, animatore del Laboratorio Progetto Poiesis di Alberobello per la ricerca e il collegamento della letteratura degli autori mediterranei, direttore della rivista "Da qui. Letteratura, arte, società fra le Regioni e le Culture mediterranee", <
Che letteratura ci tocca oggi, sia in senso emozionale che commerciale? E' rivolta al sociale o no?
La letteratura, malgrado una certa tendenza a chiudersi in se stessa, a diventare un narcisistico hortus conclusus nei suoi esiti migliori e più convincenti deve in qualche modo riferirsi al sociale, e non per questo diventare sociale e, peggio, sociologica. Senza voler fare retorica populistica, l'intellettuale o lo scrittore devono interagire con quel complesso intricato e magmatico di fattori e vicende, di appartenze e spoliazioni, di racconti e di linguaggi che è il milieu di origine, con cui senza scampo occorre fare i conti, magari per negarlo, per prenderne le distanze, o, al contrario, per sottolinearne un legame, un nesso, che crei un rapporto dialettico di interazione, conflittuale o dialogico. Non ho chiaro se la letteratura possa realizzare una rivalutazione del sociale, forse certamente promuoverlo, favorirlo, diventando atto politico e di riscatto. Ma questa è un'altra storia, un'ennesima indomita utopia, a cui comunque conviene credere, battendosi e prendendo posizione, per sentirsi ancora partecipi di una causa comune che ci lega ed unisce, al di là delle pur forti differenze che ci diversificano e ci allontanano sempre di più.