Sempre più allarmanti sono le analisi delle condizioni ecologiche planetarie e le previsioni delle loro conseguenze, in particolare
imputabili al mutamento climatico e all'aumento della temperatura media (...). Analisi e previsioni elaborate dall'ambientalismo più
qualificato e responsabile, oggi fatte proprie anche dalla maggioranza della comunità scientifica internazionale, ora concorde nel
riconoscere in questi fenomeni il peso decisivo delle attività umane, della qualità e delle quantità di produzione, tipiche delle
economie industriali.
Di fronte a questa situazione, che rimette in causa i tradizionali paradigmi della scienza economica, sarebbe altamente auspicabile
una argomentata presa di posizione da parte degli economisti i quali finora (con l'eccezione di esigue minoranze) indicano l'aumento
della domanda e dei consumi e la crescita del Pil, come la migliore soluzione dei problemi d'oggi. Eppure recenti episodi (Seattle e
non solo) hanno rivelato l'esistenza di una consapevolezza ecologista nel sociale, cioè di qualcosa che può insidiare le basi
dell'economia capitalistica di mercato più di quanto possano farlo oggi le classiche, e certo irrinunciabili, rivendicazioni salariali e
normative dei lavoratori. Qualcosa che forse, qualora venisse fatto proprio dal nucleo attivo del lavoro dipendente, potrebbe aprire
nuovi orizzonti storico-politici per il ridimensionamento dell'attuale ordine socio-economico.
Ci rendiamo conto certo, che un arresto o un forte contenimento della crescita, specie perseguito in un solo paese, sarebbe rovinoso
anche per gli strati popolari. La globalizzazione infatti costringe tutti i paesi a competere su diversi piani, che convergono ancora
una volta nell'incremento dei ritmi di crescita. Perciò un'inversione di tendenza dovrebbe aver luogo almeno su scala continentale
ed essere compensata dal simultaneo espandersi, mediante iniziative pubbliche democratiche, di settori non mercantili, indirizzati alla
produzione di beni sociali , necessari a uno sviluppo reale della ricchezza durevole e delle risorse vitali, al servizio delle persone: una
produzione per una natura non lesiva dell'ambiente.
Noi siamo convinti che solo da un confronto serio tra le culture dell'ambientalismo e quelle degli esperti di economia e politica
economica possano venire stimoli e proposte tali da prospettare una possibile via d'uscita da questa drammatica contraddizione del
nostro tempo, per una scelta responsabile tra i vincoli della globalizzazione competitiva e l'urgenza di prevenire danni irreversibili
alla vita di tutti. E' agli economisti dunque che ci rivolgiamo innanzitutto per avere risposte e possibilmente per aprire un incontro.
C. Ravaioli, M. Alcaro, F. Bandoli, P. Bevilacqua, G. Berlinguer, G. Bologna, M. Buiatti, P. Cacciari, G. Chiarante, M. Cini, E.
Dejana, E. Falqui, F. Ferrarotti, F. Giovenale, P. Greco, P. Ingrao, I. Mortellaro, R. Musacchio, G. Nebbia, E. Resta, F. Russo, M.
Serafini, P.L. Sullo, E. Tiezzi.
*(gia' pubblicata sul quotidiano "Il manifesto" del 15 giugno 2000)