Ora Locale

(Digita o Clicca su "Ora Locale" per tornare indietro)


Recensione:
Lynne Viola, Stalin e i ribelli contadini, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli, pp.430, £ 32.000

di Emilia Bruno



I rapporti tra Stato e contadini, in Russia, sono stati caratterizzati, fin dal 1917, da un continuo scontro fra due culture: quella urbana, propria dei comunisti e di una classe operaia atea, tecnologica, e quella contadina. "Prima di essere comunisti, prima ancora di essere bolscevichi, i marxisti russi erano implicitamente anticontadini". In realtà, il potere sovietico si basava sulla dittatura del proletariato e dei contadini poveri; nella rivoluzione del 1917, lo stesso Lenin affermò che non vi era divergenza di interessi tra i lavoratori salariati e i contadini sfruttati. "Il socialismo - sosteneva Lenin - è pienamente in grado di soddisfare gli interessi di entrambi". La rivoluzione d'Ottobre, rivoluzione della "classe operaia", scoppiò in una nazione, la Russia, dove la classe operaia, ossia il proletariato industriale, costituiva solo il 3% della popolazione, mentre i contadini ne rappresentavano circa l'85%; ben presto gli obiettivi di entrambe le "categorie" divennero inconciliabili ed emersero dei contrasti.
Durante la prima fase della guerra civile, i comunisti formarono dei comitati di contadini poveri, i kombedy, che avevano lo scopo di raccogliere il grano da destinare alla popolazione delle città e all'esercito. I contadini poveri, avrebbero dunque aiutato i distretti di requisizione a trovare il grano e in cambio ne avrebbero avuto una parte. L'obiettivo dei kombedy, doveva anche essere quello di unire le categorie meno abbienti e scatenare, nei villaggi, una guerra di classe contro i ceti benestanti.
Tutto ciò, tuttavia, non avvenne e molti villaggi sfidarono testardamente il partito che voleva operare una divisione sociale. I kombedy, nella maggior parte del paese furono abbandonati prima della fine del 1918.
Dopo il fallimento di questa politica di classe, Lenin diresse la sua enfasi verso il contadino medio, continuando a considerare il kulak come il "principale nemico del partito". In un discorso del marzo 1919, affermò che "il kulak è il nostro implacabile nemico e non possiamo sperare in nulla se non lo distruggiamo. Il contadino medio è un caso diverso, non è nostro nemico".(p. 41) Il contadino medio costituiva il gruppo più numeroso tra i contadini dopo la rivoluzione. Secondo le circostanze, esso poteva schierarsi dalla parte del kulak e quindi della controrivoluzione, oppure sostenere i contadini poveri e quindi la rivoluzione. "Compito del partito sarebbe stato - secondo Lenin - aiutare il contadino medio a riconoscere ciò che era meglio nel suo interesse". Tutti i contadini, dotati di una certa sensibilità e consapevolezza di classe, si sarebbero dovuti rendere consapevoli del fatto, ad esempio, che tutto il surplus di grano, senza eccezioni, doveva essere consegnato allo Stato. "In questo caso, le azioni politiche del contadino ricadevano sul suo status socioeconomico: la consapevolezza determinava lo stato"(p.42).
Nel 1921, i marinai della base navale di Kronstadt, roccaforte del sostegno bolscevico, si rivoltarono contro i comunisti. Lenin abbandonò allora le politiche del periodo della guerra civile e nel marzo del 1921, al X Congresso del partito, presentò la Nep, la Nuova Politica Economica. Pur ammettendo gli interessi differenti fra i lavoratori e i contadini, Lenin sostenne che "sino a quando non vi sarà la rivoluzione socialista in Russia, il partito aveva dunque bisogno dell'appoggio dei contadini per restare al potere". La Nep, che secondo il suo promotore doveva durare "per un'intera epoca storica", lasciò al partito un'eredità ambigua. Dipinta come "un'età dell'oro" dei contadini, questi ultimi,durante questa fase, pur subendo da parte dello stato poche interferenze rispetto ai periodi precedenti, continuarono comunque a versare dei tributi ai funzionari statali, i quali perpetrarono "frequenti incursioni nelle campagne per prendere tasse, grano e, stando alle lamentele dei contadini, la moralità e la fede dei giovani".(p. 46)
Dal 1927, Stalin ritenne che ai contadini andasse richiesto un tributo maggiore per sostenere l'industrializzazione e per nutrire la città e l'esercito.
Stanco della guerriglia contadina, Stalin diede il via ad una vera e propria guerra che aveva come obiettivo quello di liquidare i kulak come classe e radunare milioni di famiglie nei kolchoz, le aziende collettive.
"I contadini videro nella collettivizzazione la fine del mondo e resistettero fieramente all'attacco della repressione. Tessendo un'intensa ragnatela di voci attraverso le campagne, i contadini crearono una contro-ideologia che delegittimava e capovolgeva il mondo comunista, indicando nel potere sovietico l'Anticristo e nella fattoria collettiva il suo covo".(p. 18)
Stalin e i ribelli contadini, cerca di ricostruire e di descrivere la storia del mondo contadino, esaminando dettagliatamente le rivolte contadine contro la collettivizzazione. L'autrice analizza le resistenze contadine durante le varie fasi della collettivizzazione, mettendo in evidenza come si è attuata tale resistenza, dall'autodekulakizzazione alle forme di resistenza di tipo luddista. "La coesione e la solidarietà mostrata dalle comunità rurali in questo periodo furono non tanto il prodotto di una scarsa differenziazione socio-economica. [...] quanto il risultato della violenza, da parte dello stato, degli interessi contadini nel loro complesso. I contadini si coalizzarono nell'autodifesa come una comunità culturale che lotta per la sopravvivenza di fronte all'attacco frontale dello stato contro l'economia domestica, gli usi e i modi di vita contadini".(p.21)
I ribelli contadini, non riuscirono, in ogni modo, a contrastare i poteri statali polizieschi e il fallimento della loro lotta è da attribuire alla dura repressione di cui furono vittime. Milioni di contadini, durante gli anni della collettivizzazione, furono arrestati, incarcerati, deportati o uccisi.
Tuttavia, sostiene Lynne Viola, "il mondo contadino perse la battaglia contro il kolchoz, ma resistette come entità culturale malgrado, o, forse, grazie a, il regime sovietico. La ribellione contadina contro la collettivizzazione è stata un atto di grande significato [...] della rivoluzione e dello stato stalinista, [dimostrazione] del coraggio, della dignità e dell'umanità di un popolo che ha lottato a dispetto delle circostanze avverse per resistere, protestare, sopravvivere e preservare un certo grado di autonomia all'interno dei confini repressivi dello stalinismo" (p. 421).



Ora Locale
(Digita o Clicca su "Ora Locale" per tornare indietro)