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Intervista a Goffredo Fofi

di Michelangelo Cimino


Nel 1997, l'editore Argo di Lecce, mandò in libreria una interessante antologia di scrittori meridionali, curata da Goffredo Fofi - che tra l'altro lanciava l'idea di pubblicare un secondo volume dedicato al medesimo tema. Ora, quella proposta avanzata da Fofi è stata fatta propria dalla Einaudi, che ha impostato l'operazione in modo del tutto diverso da come era stato pensato nel 1997 (cfr. l'intervista a Antonio Pascale) .

Fofi, quale è stata la prima reazione che ti ha suscitato l'antologia di narratori pubblicata dalla Einaudi, Disertori?

Questo volume è stato fatto e io non ho nessuna intenzione di farne un altro. Me ne guardo bene. Anche perché credo che nel corso di questo decennio sono cambiate un sacco di cose. Primo punto: la questione meridionale è morta e sepolta. Negli anni Novanta il Sud è andato assimilandosi sempre di più al Centro e al Nord. Esiste una questione nazionale e delle questioni locali, territoriali. Quindi, non avrebbe più senso - come a mio parere non ha più senso i Disertori -, perché io trovo forme di disagio in Veneto, raccontate splendidamente da Massimo Carlotto, che sono simili a quelle pugliesi - che però nessuno racconta. Questo è il primo dato di fatto. Il secondo è che l'idea base di quell'antologia era che potesse esistere una specificità della letteratura meridionale di tipo ereticale (partendo da Silone e da Sciascia) - cosa che tra l'altro vale per tutta la letteratura italiana. In quel caso doveva essere una componente fondamentale della letteratura meridionale ; ma nel momento in cui uno sostiene che la letteratura meridionale non esiste più, che esiste invece una letteratura napoletana, siciliana, pugliese, ecc. evidentemente il discorso che si voleva portare avanti nel libro non esiste più. E' stato superato dagli avvenimenti...

Per quale ragione il confronto tentato dai narratori meridionali con gli autori della nostra tradizione non ti soddisfa pienamente?

All'inizio degli anni Novanta stavano succedendo delle cose per le quali si poteva ancora pensare che il Sud avrebbe preso una strada più autonoma, più originale di sviluppo rispetto al Centro e al Nord. C'è stato il fenomeno, importantissimo dei sindaci - anche se presto recuperato in una logica di tipo nazionale. L'altro aspetto era l'abolizione della legge per gli aiuti speciali al Sud. Tutto ciò da un lato costituiva un invito al Sud a fare da sé per la prima volta, e dall'altro rappresentava l'orgoglio del Sud di tentare di trovare una propria strada.
Prima si parlava delle ridicole ultime cose che sta scrivendo Franco Cassano... Però all'inizio del decennio passato il libro di Carlo Trigilia, Crescita senza sviluppo , e il Pensiero meridiano, dello stesso Cassano, naturalmente molto diversi, nascevano dalla stessa esigenza : e sembravano confermare questa stessa esigenza molto più diffusa, che era l'orgoglio del Sud di dire : "adesso ce la vediamo noi ; non vogliamo più essere ciò che il Nord ha decretato fossimo ; non vogliamo vivere dell'immagine riflessa che esso ha dato di noi, assumendola in toto, pensandoci ritardati, quando non si sa rispetto a cosa" ; e anche questa è un qualcosa che allora aveva un senso e oggi non ce l'ha più. Anche da questo punto di vista è un libro rapidamente invecchiato...

Beh, meno di quanto si possa pensare...

Forse è vero, perché comunque dava un'idea che c'era una vitalità che gli altri non vedevano... Anche quando noi predichiamo bene, poi chi la vince è sempre il sistema, il mercato. Non si tiene conto del fatto che gli scrittori sono persone molto più amorali, o immorali, di quanto noi pensiamo...
Ad un certo punto della Prefazione tu scrivi di radici, ovvero del dubbio che attanaglia molti scrittori se reciderle o meno, ma come e quando pare ad essi, senza sottostare minimamente ai ricatti degli altri. A tuo parere è così essenziale dare un taglio, o comunque rimuovere talune incrostazioni formatesi col tempo...
Credo che le radici di cui parlo siano state da tempo tagliate. In realtà, persino Sciascia sembra un personaggio di un secolo fa, rispetto a quello che scrivono questi scrittori di oggi, che vanno in tutt'altre direzioni.
Io credo che gli scrittori meridionali di oggi non si confrontano con Verga o Pirandello, Sciascia, Silone ecc. si confrontano con Tarantino, Ammanniti, Pinchon, insomma con la letteratura del loro tempo e in una situazione in cui, ripeto, morta, finita questa identità nata dal sottosviluppo è venuta fuori un'identità comune, un disagio comune, nazionale e internazionale.
Con in più se vuoi la foga di molti di loro a inseguire le mode. In questo senso gli scrittori che c'erano in quell'antologia e alcuni dell'antologia dei Disertori sono migliori di tanti altri: nel senso che si avverte che c'è in loro una tensione morale più forte. Nonostante sembra vero che Leonardo Sciascia sia morta da un secolo, negli scritti di Benfante, Alaimo, ecc. l'eco di Sciascia si sente.

I racconti inseriti nell'antologia coprono un ventaglio abbastanza ampio, suddivisi come sono tra genere realistico e fantastico. Quello di Maria Attanasio è un modo esemplare (a nostro parere, almeno) di descrivere come una donna nell'Italia a cavallo tra Sei e Settecento scelga un proprio percorso a metà strada tra fede e ragione. Perché non leggerlo come una metafora dell'odierno panorama letterario meridionale?

Non lo so. Io credo che il vantaggio di Maria Attanasio sia quello di partire sempre da dati storici. Lei fa un po' delle "finzioni verosimili". Anche Sciascia in qualche modo vi ha lavorato : ha preso dei dati di fatti storici e anche dei personaggi e poi ha creato dei racconti. Dove finisce la storia e inizia l'interpretazione e la fantasia è sempre molto difficile da stabilire. In questo senso, e cioè dal punto di vista formale, di genere, lei è l'unico vero allievo di Sciascia.
Il racconto va un po' nella direzione di una tendenza della cultura femminista molto forte, specie in questi anni. Diciamo che le donne, in una situazione come quella italiana, per prime hanno tirato in ballo delle cose che prima erano state soffocate. O portate avanti con estrema fatica, ma soltanto da personaggi marginali, non a caso omosessuali, come Testori e Pasolini : il sacro e il corpo. Le grandi rimozioni della cultura di sinistra, tuttora detta illuminista, e poi di tutta la tradizione comunista, sono state queste due. E sono anche una delle ragioni del fallimento delle rivoluzioni. Se non si fanno i conti con il sacro e il corpo si butta via il cinquanta per cento dell'esperienza umana.

Anche tu eri sostanzialmente propenso a vedere nella letteratura meridionale una qualche diversità rispetto ai modelli letterari dominanti. E anzi temevi che, in mancanza di libertà e di sperimentazione (sia individuale che collettiva), essa potesse venir risucchiata nei circuiti delle grandi case editrici, i cui talent-scout paragoni a politici famelici... E ora?

E ora è successo, nel bene e nel male : nel senso che non è detto che uno poi deve lamentarsi perché Antonio Pascale, scoperto in quell'antologia, diventi un editore Einaudi. O che De Silva, poi venga scoperto dalla Einaudi che pubblica un suo libriccino, più uno nuovo. Diciamo che per la letteratura giovanile di questo ultimo decennio le responsabilità storiche sono di tutti, anche nostre, che con Liinea d'ombra facemmo una battaglia per far ripubblicare i giovani e i loro racconti.
Però, le cose veramente notevoli sono poche ; e manca il filtro. In una situazione sociologicamente sballata, perché la gente che scrive è sempre più numerosa : essendo che i figli del popolo sono andati all'università e sono frustrati e coglioni come tutti quelli della piccola borghesia universale, trovano sfogo nella cosiddetta creatività e scrivono come matti. E se non ci sono gli editori che fanno da filtro...
Tuttavia, a mio parere effettivamente c'è una forte creatività ; ci sono molti talenti, in quasi tutti i campi. Ma soprattutto in alcuni campi, chessò : teatro, cinema, fumetto, fotografia ecc. Quello che manca è un contesto culturale serio ; mancano gli intellettuali, la gente che pensa, che progetta, vede e capisce qualcosa di più e riesce a porsi in modo conflittuale con i giovani. Mancano soprattutto le persone con cui confliggere, dialogare, sbattersi, da cui insomma imparare qualcosa.



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