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Goffredo Fofi, un "poco di buono"

di Giuseppe Muraca


Anche se Goffredo Fofi ha iniziato l'attività culturale e politica in Sicilia a metà degli anni cinquanta, al fianco di Danilo Dolci, è come sociologo militante, alla scuola di Raniero Panzieri e Danilo Montaldi, che si è fatto conoscere, e in particolare con il libro L'immigrazione meridionale a Torino, che per la sua rovente polemica nei confronti della Fiat e dell'industria italiana causò una spaccatura traumatica nella redazione della casa editrice Einaudi e fu poi pubblicato dalla Feltrinelli (Milano, 1964). Nel corso degli anni sessanta è stato uno dei principali animatori e collaboratori di alcune delle più importanti riviste della nuova sinistra ("Quaderni piacentini", "Giovane critica", "Ombre rosse") conquistandosi la fama di "giovane critico arrabbiato" del cinema contemporaneo. Successivamente, la crisi degli ideali del sessantotto e della sinistra (vecchia e nuova) lo hanno spinto a rivedere le sue vecchie posizioni politiche e ideali e a cercare nuove strade di ricerca e di intervento. Dopo aver fondato e diretto per oltre un decennio "Linea d'ombra", una delle riviste più rappresentative degli anni ottanta, Fofi ha dopo più di un decennio abbandonato quella testata per dar vita al trimestrale "Lo straniero", che fin dal titolo intende esprimere la sua totale estraneità all'odierno contesto politico-culturale italiano.
Degli intellettuali dell'ex nuova sinistra Fofi è stato fra coloro che nello scorso ventennio ha fatto più severamente i conti con gli errori, i dogmatismi, le divisioni e i settarismi di quel movimento e con i modelli teorici e politici della cultura comunista, continuando però ad aderire ad una prospettiva utopistica e radicale nella convinzione che la cultura (e, quindi, gli intellettuali) può e deve contribuire alla ricerca della verità, alla conoscenza e alla trasformazione della società.
Con Le nozze coi fichi secchi (Napoli, L'Ancora del Mediterraneo, 1999) Fofi ha inteso rievocare ed esaminare le fasi più salienti della sua autobiografia e della sua più che quarantennale attività intellettuale di "organizzatore di cultura", di "operatore sociale" (come lui stesso ama definirsi), testimoniando questo continuo sforzo di andare oltre i vecchi orizzonti politici e culturali, questa faticosa ricerca di nuovi punti di riferimento e di nuove certezze di carattere teorico e ideale. Ne viene fuori una sorta di autoritratto dai contorni ben definiti e che non lascia adito a mezze misure. Infatti, l'immagine che viene fuori dalle pagine di questo libro è quella di una delle figure più controverse della cultura italiana contemporanea, una sorta di eretico che ha fatto e fa della critica e della denuncia il cardine della sua attività intellettuale e della sua passione politica e morale.
Fofi non ama l'Italia di oggi, come non ha amato l'Italia di ieri, e ha fatto e fa di tutto per dimostrarlo. Secondo lui il nostro paese è governato da un ceto dirigente rampante, corrotto, arrogante e mediocre, moralmente e culturalmente. Eppure sono ormai in pochi che si impegnano per modificare, per rovesciare questa situazione, e quei pochi vengono continuamente isolati, emarginati, denigrati da una "classe media", ormai legata ai valori del potere e del successo. Il discorso di Fofi è sempre ispirato da un'intensa passione civile e da un'acre polemica, ma non è una polemica fine a se stessa. Egli ci disegna una quadro sociale e politico abbastanza pessimistico. Tuttavia sarebbe sbagliato considerarlo un pessimista rinunciatario, un apocalittico di sinistra. In realtà, come ha scritto più di un decennio fa Norberto Bobbio, egli è un pessimista, ma <>, un moralista che però odia i moralisti di professione che usano la morale per scalare il potere, e che pur avendo la consapevolezza che il mondo sta andando in rovina non rinuncia a battersi per cambiarlo. Insomma, una sorta di <>, un <> abbastanza lontano dalla figura di intellettuale in voga oggi, cioè completamente estraneo alla cultura accademica e specialistica e avverso ai giochi, ai compromessi e agli intrighi del potere (partitico, massmediatico, accademico ecc.) e al malcostume tipico della corporazione e delle tribù degli intellettuali.
I suoi modelli ideali provengono dalla sinistra eretica e libertaria; il suo punto di partenza è sempre stato ed è tuttora una militanza di tipo pedagogico, animata dal bisogno e dalla passione di conoscere, di capire e di operare con la prospettiva di cambiare il mondo, la società contemporanea. E' una scelta minoritaria e movimentista e il suo instancabile attivismo ha come principale obiettivo l'aggregazione e la formazione di una rete di operatori culturali e sociali capaci di intervenire sulla realtà concreta.. <>: questo è il motto che lui ama ripetere; e in questa battuta si condensa tutto il suo programma politico, il cui principale obiettivo è di rigenerare, di rinnovare i modi e le forme dell'agire politico, della pratica sociale e culturale, partendo dal basso.
A ben vedere, Le nozze coi fichi secchi è per molti versi un libro esemplare, che con Pasqua di Maggio (Genova, Marietti, 1989) forma una sorta di dittico, ed è l'opera che, a mio modesto parere, meglio condensa e definisce la multiforme attività politico-culturale di Fofi. A prima vista può sembrare un'autobiografia, ma non è solo un'autobiografia: è qualcosa di più. Infatti, insieme a parti di carattere prettamente memorialistico, vi sono pagine in cui Fofi riesce a descrivere, davvero con rara efficacia e in maniera incisiva, una serie di ritratti di alcuni "maestri" e "compagni" della sua generazione. Da Danilo Dolci a Manlio Rossi-Doria, da Carlo Levi a Silone, da Nicola Chiaromonte a Elsa Morante, da Federico Fellini a Pier Paolo Pasolini, da Franco Fortini a Raniero Panzieri, da Danilo Montaldi a Giovanni Pirelli, da Grazia Cherchi a Volponi, da Fachinelli a Alexander Langer.



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