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Sindaci - Capi d'Istituto: un incontro auspicabile

di Giorgio Franco

Calabria? che il marchio diventi etichetta! Le proposte di Berlinguer sulla scuola alimentano speranze e provocano dubbi, che si accavallano con il passare dei giorni. Sembra che il ministro voglia sconvolgere l'intero sistema scolastico italiano, ma sembra anche che i cambiamenti siano solo verniciature di facciata. Non è chiaro ancora se la scuola nuova farà da battistrada ad un mondo rinnovato, o se le nuove scelte formative serviranno a consolidare gli aggiustamenti e i rattoppi predisposti dagli ultimi provvedimenti ministeriali. In Calabria i danni provocati dalle disposizioni dell'ultima ora avevano reso drammaticamente improcrastinabile il mettere mano ad una ricostruzione totale del sistema formativo. Se la disoccupazione galoppa a livelli terzomondiali, la popolazione calabrese lo deve in parte ad un sistema della formazione tarato su bisogni che nulla hanno da spartire con la Calabria. Se federalismo è parola d'ordine di fine secolo, nella Scuola la differenziazione tra opportunità ed esigenze va commisurata alle realtà subterritoriali e alle loro specificità culturali. Fatti salvi gli standard nazionali delle competenze individuali, ognuno deve seguire un percorso formativo, che ne qualifichi lo sviluppo e ne legittimi le attese, in relazione alle domande comprensoriali (oltre che alle proprie aspettative). In questa ottica la scuola di base ha una valenza sociale che reclama impegni e pretende risposte dall'intera Comunità e dalle Istituzioni che la rappresentano. Se l'infanzia e l'adolescenza vengono esposte quotidianamente a sollecitazioni ed imposizioni prive di mediazioni e di controlli; se nella fase che va dai 3 ai 15 anni i cosiddetti uomini e cittadini in formazione ricevono bombardamenti informativi e sollecitazioni emotive inimmaginabili fino ad una diecina di anni or sono; se i nuclei familiari hanno subìto una mutazione strutturante che ne ha cambiato le fisionomie antropologiche; se si continua ad abbassare la soglia della maggiore età e a sollevare quella della vecchiaia; se a tutte le ipotesi precedenti si aggiunge l'aggettivo "calabrese", si deve concludere che la scuola di base, "elementare e media" non può continuare a vivere in un regime di identità e gestione, funzionali ad un'idea della formazione/educazione che, quando nacque e per il periodo durante il quale ha prosperato, non ha dovuto subire l'assalto delle sopraindicate alterazioni (definita era, allora, l'età dell'infanzia ed altrettanto manifestamente erano evidenziate le aspettative della società nei suoi confronti). L'omogeneità dei gruppi e la loro omologazione nazionale non obbligavano ad un'analisi dei bisogni e delle attese diversificate. Con eguale evidenza erano situati i connotati di quella che definivamo adolescenza. Se flessibilità e mobilità sono diventati grimaldelli epistemologici, capaci di modificare blocchi di preconcetti saldamente arroccati, non bisogna arenarsi dinanzi alla loro ulteriore applicazione in campo periferico. Differenze evidenti, hanno notato i sociologi, tra gli adolescenti dei capoluoghi meridionali e quelli nordici, ma eguale diversità essi hanno misurato tra i dodicenni delle province calabresi montane, collinari o costiere; altrettanti classificazioni essi hanno sezionato fra i bisogni e le aspettative di bambini del Pollino e di quelli delle Serre o dell'Aspromonte. (Diverse sono, insomma, le domande culturali e le aspettative formative degli "scolari" di S. Nicola Arcella da quelle dei loro coetanei di........, come ci hanno detto gli studiosi di Arcavacata che hanno lavorato alla Ricerca del professore Anania.) La proposta Berlinguer liquida il problema con la formula dell'Autonomia scolastica, fingendo di ignorare che le parole possono nascondere i fatti, anziché evidenziarli. Autonomia è un contenitore che attende atti concreti, proposte operative, scelte di indirizzi. Essa va disegnata e percorsa, pena la sua obsolescenza: i bambini e gli adolescenti, posto che la distinzione sia omologabile a tutte le realtà territoriali calabresi (perché è alla Calabria che siamo interessati) dovranno ricevere un insegnamento/apprendimento per tutti e per ciascuno, comunque e dovunque. E' questa la sfida della scuola calabrese. Ma chi dovrà provvedere a soddisfare questo diritto? I Sindaci, come figure istituzionali preposte al rispetto dei bisogni primari della Comunità che li ha incaricati alla conduzione periodica della Cosa pubblica. Nessuna figura pubblica risulta, a mio parere, legittimata quanto un Sindaco nella scelta, tra gli aventi giuridicamente diritto, della persona preposta alla formazione di base. Egli sa che la nomina di una persona inidonea gli alienerebbe il consenso dei cittadini, sensibili al problema della educazione formativa di base per i loro figli, forse più che ad altri problemi. La Scuola di base, principalmente in Calabria, si carica di mille risvolti: alfabetizzazione primaria ed educazione permanente. Essa è consapevole di doversi occupare della Biblioteca civica e della conservazione dei beni culturali ed ambientali, essa deve mantenere viva la memoria storica, orientando verso un futuro commisurato alle esigenze territoriali. Non penso che esista altra figura istituzionale che possa avere maggiormente a cuore siffatte esigenze e non penso che esse possano trovare giusto riconoscimento se non in un soggetto pubblico che potrà anche chiamare il concittadino a sopportare spese in funzione dell'educazione primaria e permanente dei suoi giovani amministrati, nella consapevolezza di doverne successivamente dare conto. Un tempo la Calabria si distingueva perché l'irresponsabilità della sua classe dirigente la spingeva ad annacquare tutte le spinte innovative che provenivano dalla generosità della sua gente. Oggi deve partire da essa il riscatto e la sfida a rendere alternativa la sua progettualità. Disegnare l'impossibile costituisce la sfida della virtualità: questo aspetta i Calabresi.



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