Per chi come me ha avuto la fortuna di vivere l'infanzia e l'adolescenza nella S.Leonardo del secondo dopoguerra fino alla fine degli anni cinquanta, parlare della Scuola agraria è come aprire il sipario della memoria su uno scenario fiabesco.
La Scuola agraria ( con questo termine intendo non tanto gli edifici scolastici,quanto tutto il vasto territorio in cui si articolava l'azienda agraria provinciale )fra la fine degli anni '40 e i primi anni '60 si presentava come una realtà che si compenetrava con la vita del rione S. Leonardo con cui confinava, ma che nel contempo era gelosa della sua identità agricola, recalcitrante ad ogni tentativo di modifica della sua fisionomia , quasi presaga che da quel mondo cittadino per lei non sarebbero venuti che guai. Aveva ragione. Ed infatti, a protezione della propria identità, aveva innalzato lungo il suo confine orientale, un alto muro di recinzione di tufo, che si estendeva da Via Panella scendendo per quella che oggi è via Cantafio fino all'altezza di Via Gaetano Alberti. La cosa straordinaria era che dietro quel muro, in piena città,esisteva una realtà integralmente agreste: campi di grano, alberi di ulivo, frutteti coltivati da Cittadino il Terribile, uno dei coloni al cui sudore era affidata la cura di quei campi.Dico Terribile, perché erano guai seri per noi ragazzi se capitavamo nelle sue mani , colti in fallo a rubare frutta.Più a Nord, a presidiare l'ingresso nel viale, c'era un cancello in ferro e l'abitazione del custode, Santo Critelli, un uomo forte , pieno di vigore che , pur privo di una mano, riusciva financo a guidare il calesse con cui frequentemente lo si vedeva attraversare le strade di S. Leonardo. Alla Scuola Agraria si accedeva in due modi: attraverso un ingresso, diciamo ufficiale, che era il cancello del viale che conduceva agli edifici scolastici e una serie di"ingressi secondari", non ufficiali che utilizzavamo noi ragazzi quando avevamo in mente chissà quali cose da fare: rubare frutta,giocare a carte all'ombra degli ulivi, fare un bagno in qualcuna delle"gibbie", cacciare lucertole con dei cappi oppure cercare i rami adatti per fare delle belle fionde (come quelle che usano i ragazzi palestinesi dell'Intifada), oppure scacciare dal nostro territorio, con una sassaiola, qualche focosa coppietta che si era appartata per il "petting". Cosa non c'era nella scuola agraria: pollai di pregiati esemplari di galline livornesi e padovane, l'allevamento delle api, le stalle dei bovini, la monta taurina, una notevole varietà di colture affidate alle mani esperte di contadini quali Vitali che era un emiliano trapiantato in Calabria, Mazzini, Cittadino il Terribile. Peri, pruni, meli, peschi, fichi, Gelsi neri(uno , che era dalle parti della concimaia , al momento adatto lo andavamo a "visitare", "combinandoci" come la statua dell'Ecce Homo della chiesa dell'Immacolata). Ciò che caratterizzava tutta la produzione agricola della scuola agraria era l'eccellenza della qualità. Le fave, ad esempio: tenerissime e dolcissime. Ancora oggi il ricordo delle fave fresche della scuola agraria fa parte dell'immaginario collettivo dei catanzaresi, come sinonimo di genuinità e di qualità eccellente.Altro che cibi transgenici e altre diavolerie moderne. Tutta la produzione di allora era su base rigorosamente biologica, come si direbbe oggi. Ricordo ancora la concimaia, posta dove attualmente passa la tangenziale, che veniva alimentata dal bestiame della stessa azienda.
Ma la scuola agraria a noi serviva anche come luogo per trascorrere parte delle lunghe giornate estive: ci accoccolavamo sotto l'ombra degli ulivi a giocare a tressette(mai a soldi), e a girovagare per i sentieri a scoprire sempre qualche cosa di nuovo. Una volta ricordo che insieme a Mario (parlo del direttore di questo giornale,anche lui frequentatore della scuola agraria e protagonista di molti episodi di caccia alla frutta. L'ultima avvenne nell'estate del 1960, quando per poco con cademmo nelle mani di Mazzini, ricordi Mario?) e ad altri compagni, ci calammo per curiosità in delle specie di cisterne, dove trovammo un interminabile cunicolo che cominciammo ad esplorare alla luce di una "fioca lucerna", avanzando carponi e fino a strisciare sul terreno, finché, ad un certo punto, la fioca lucerna non si spense a causa del rarefarsi dell'ossigeno.Comunque l'esito di quella esplorazione fu molto interessante: trovammo una grande quantità di proiettili tedeschi di artiglieria antiaerea, sepolti lì dalla fine della guerra. Infatti, nella scuola agraria, erano ancora visibili i segni dei bombardamenti aerei alleati dell'agosto del '43 , grandi crateri che avevano sconvolto il terreno . Ma la scena che è rimasta più viva nella mia memoria è quella di una sera di agosto del 1960 in cui con Mario e altri decidemmo, dopo una ricognizione effettuata al mattino, di dare l'assalto a delle profumatissime pesche .Quando ci riunimmo per la spedizione , ci trovammo immersi in uno scenario fantastico :un firmamento di lucine verdi fosforescenti costellava il buio profondo della campagna con lo sfondo musicale dell'immenso coro dei grilli e del gracidare ,dalle "gibbie", delle "rane rimote": erano le lucciole, i "culinuciuli", termine che i catanzaresi usano ancora nell'espressione "vidira i culinuciuli" per significare qualcosa di straordinario, di assolutamente insolito. Oggi le lucciole non si vedono più(io non le ho più viste da allora), forse non esistono nemmeno ed il termine stesso sopravvive soltanto nella sua accezione metaforica ,ad indicare le sventurate ragazze nigeriane o albanesi che offrono la notte, lungo i viali delle grandi citta', amore mercenario.Ricordando queste cose, mi viene da pensare che Shakespeare, quando scrisse "A midsummer nigth's dream" non dovette inventare nulla, gli bastò copiare la natura.
L'altra cosa che io considero affascinante della scuola agraria e di S. Leonardo era quel certo non so che di selvaggio che gli veniva dall'essere entrambi esposti al vento dell'ovest, che spirava furiosamente dal casale di Gagliano(credo che così lo chiamerebbe il Prof. Augusto Placanica), e che , nelle notti di inverno ululava selvaggiamente. S. Leonardo se lo prendeva tutto quel vento. Non c'era allora l'immensa barriera architettonica di Mater Domini e tutti i palazzi costruiti nella Scuola Agraria a far da frangivento. A noi di S. Leonardo il vento e' sempre piaciuto, ci eravamo abituati. In estate , sembrava di stare in villeggiatura, raramente si sentiva l'afa. I pomeriggi estivi stare ai giardini, sotto i tigli, era davvero un piacere, Allora non c'erano le seconde case al mare che, dagli anni settanta in poi , hanno svuotato la città da luglio fino a settembre, riversando i catanzaresi sul litorale da Sellia fino a Davoli. Ad arrostirsi, a vivere in una condizione di malessere, per l'insopportabile calura , mentre allora, dopo una mattinata al mare, si rientrava a casa da Marina o da Copanello e, dopo un sonnellino pomeridiano, si godeva la città con la sua impagabile frescura. Oggi ,d'estate, i famosi giardini di S. Leonardo sono vuoti.Allora erano brulicanti di gioventù.
Con gli anni '60 iniziò l'assalto alla Scuola Agraria. Un attacco venne sferrato ad est da una serie di cooperative edilizie. In breve, il grano, gli ulivi, i peri, meli, pruni, soccombettero dinanzi al cemento dei numerosi edifici che oggi si trovano in quella che si chiama via Cantafio. A nord, l'attacco fu sferrato dal cemento dell'Ospedale "Pugliese" che, proprio in questi giorni , a distanza di un quarantennio dalla sua edificazione, qualcuno dice che forse fu una scelta sbagliata ubicarlo li e che è necessario rottamare il complesso ospedaliero e trasferirlo nella valle del Corace. Dio Santo, potevate pensarci prima!! Gli ultimi colpi mortali furono inferti alla Scuola Agraria dalla Tangenziale Ovest e poi dalla cosiddetta Bretella, che hanno profondamente sconvolto la fisionomia del luogo.
Se tanti anni fa , negli anni '60, si riteneva non più possibile quella felice, straordinaria coesistenza di urbanesimo e ruralità, com'era stata quella fra la Scuola Agraria e il Rione S. Leonardo, la scelta giusta sarebbe stata di attuare, nel rispetto della vocazione del luogo,una "naturale" riconversione della prima, da azienda agricola in parco cittadino, dotandola ,con un sapiente dosaggio di interventi, di strutture per il tempo libero e la cultura, impianti sportivi, bar, pizzerie e ristoranti.