Ora Locale

(Digita o Clicca su "Ora Locale" per tornare indietro)


Recensione:
Cinema e Mezzogiorno
di Giovanni Scarfò, Introduzione di Nino Genovese, Edizioni Periferia, Cosenza 1999, p. 151, £ 18.900

di Concetta Guido



L'idea è nata anni fa. Ora la ricerca di Giovanni Scarfò ha trovato la misura di un libro. Il campo è enorme e controverso. Cinema e Mezzogiorno, che significa parlare di autori di un altro secolo, come Giovanni Verga, di scrittori -sceneggiatori, come Corrado Alvaro, di registi fuori del coro - a Pierpaolo Pisolini, Vittorio De Seta ed Ermanno Olmi è dedicato un capitolo - di suggestioni folkloristiche e di altrostato.
Qual è il Meridione del grande schermo? Dove continuare a cercare le sue forme?
"Ritengo la vera maledizione del sud questo sentirsi privilegiati nell'abbandono e nell'orgoglio [...]. Io so che il Sud non è tale perché c'è un nord, ma perché c'è un sud sbagliato". Il regista Gianni Amelio non fa sconti a una tematica che sembra annodarsi attorno a se stessa. La Caloria, già. Nel percorso di Scarfò sinora era stata l'unità di misura. Un regione, la sua, (vive a Mammola, in provincia di Reggio Calabria) alla quale ha guardato attraverso Alvaro, nel primo libro pubblicato dalla Rubbettino e, poi, nella controluce di una filmografia ricostruita con perizia. Il discorso geocinematografico, dicevamo, era già avviato. Scopriamo che quella sua seconda pubblicazione, La Calabria nel cinema appunto, ne ha costituito una tappa dieci anni fa, quando con l'editore, Periferia di Cosenza, si diede un nuovo appuntamento.
Sud e cinema è viva questione meridionale e, dunque, un discorso possibile, secondo Scarfò, che sembra aver lavorato tenendo d'occhio un mare di materiale, non potendo prescindere da argomenti forti, che hanno nutrito il tessuto culturale dell'Italia del dopoguerra. La sudditanza nei confronti della letteratura, la visione antropologica, ma soprattutto i grandi temi del realismo, del mezzo televisivo, del prodotto medio popolare. Seguendo molte tracce, tra le anime della sinistra e le parabole del neorealismo, l'autore individua il primo disegno del Mezzogiorno nel cinema degli Anni Cinquanta. Sennonché, il viaggio verso il Sud parte da stazioni politiche, da reazioni al recente passato, dall'esigenza di creare nuove "mappe cinematografiche" e produce un magma di miseria e oleografia. Scarfò intitola il capitolo sul tema "Sostenibile leggerezza dell'essere", ma al contrario della nota opera di Kundera, nell'ascesa meridionalistica non ci sono tensioni esistenziali, bensì forti tipizzazioni, omologazione ed elegia.
Cinema e Mezzogiorno non è un libro-risposta e non pare rivelare un interesse verso specifici filmici, pur passando da promozioni (l'onestà di Francesco Rosi) e bocciature (non c'è via di scampo per Lina Wertmuller che Morando Morandini definisce "bucaniera dello schermo".
Questione meridionale e derivati, in primis la questione contadina, trovano attorno al cinema, più che nel cinema, terreno fertile di diatriba in un gioco di specchi a volte limpidi, troppo limpidi, molte altre deformanti.
Interessante è la risposta di punti di vista illustri come quello di Italo Calvino, ex cinofilo di Riviera, che, nel 1945 durante un convegno della Fiom, a Milano, accusa: il Sud che "è diventato quasi il simbolo di tutti i problemi italiani e anche il cinema ne ha fatto uno dei suoi temi consueti...Certo, la vita di fabbrica non ha quei richiami di pittoresco, folklore, che hanno altri pur tragici problemi italiani". Per l'illuminato e "dimezzato spettatore", c'erano "ragioni ben più di fondo: trattare dei problemi delle fabbriche vuol dire toccare il tasto della situazione italiana".



Ora Locale

(Digita o Clicca su "Ora Locale" per tornare indietro)