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Un programma per la Calabria che cambia


di Nuccio Iovene



Ringrazio il Direttore e la redazione di Ora Locale per la richiesta di intervento nel dibattito avviato da Paolo degli Espinosa e Walter Veltroni sull'ultimo numero della rivista. Le pagine erano significativamente inserite sotto il titolo "cose da fare cose da disfare" e non c'è dubbio che, ancora oggi, siano molte entrambi. Io credo, comunque, che dopo quattro anni e mezzo di governo del centrosinistra la discussione debba partire innanzitutto dalle "cose fatte", che non sono poche e non sono irrilevanti. Nella vocazione alla sconfitta che spesso riaffiora in alcune forze e personalità del centrosinistra si tendono a dimenticare i tratti distintivi dell'Italia che abbiamo conosciuto negli anni precedenti in termini di qualità e moralità delle classi dirigenti, in termini di uso della spesa pubblica e di gestione del territorio, in termini di capacità innovativa ed attenzione alle politiche sociali, così come nell'azione riformatrice più generale su tanti temi rilevanti (dalla scuola alla sanità, dalla pubblica amministrazione ai poteri dello stato, delle regioni e degli enti locali).
Tutto bene, dunque? Non è utile nascondere ritardi, limiti ed errori, che pure ci sono stati, ma non si può prescindere dal punto di partenza e dall'approdo che i Governi Prodi, D'Alema e Amato hanno determinato. Ora occorre andare avanti, e la prospettiva futura può essere più solida e credibile proprio in virtù di quanto è stato realizzato, delle basi concrete e solide sulle quali poggiare. Se si guarda all'oggi ed al futuro da questa prospettiva, da questo angolo visuale, appaiono incredibili lo smarrimento e la litigiosità del centrosinistra che sembrano prevalere. Ed appare profondamente sbagliato non essere riusciti a coltivare una tensione ed una attenzione diffusa, di cittadini, forze sociali, competenze pur ampiamente presenti nei territori.
Da qui occorre ripartire, sapendo che la sfida riguarda almeno quattro questioni: il rinnovamento e la riaggregazione delle forze politiche del centrosinistra; la piena utilizzazione e la valorizzazione delle tante esperienze amministrative del centrosinistra; il coinvolgimento più vasto dei soggetti attivi della società; il profilo politico programmatico da mettere in campo.
Come si vede non parlo dell'avversario e della sua pericolosità, e non certo per sottovalutazione. Do per scontato che si condivida l'analisi su di esso, sui tratti essenziali della cosiddetta "casa delle libertà" e delle diverse forze politiche che la compongono. Quello che mi preme è chiarire cosa non va tra di noi, nel centro sinistra, e quali sono i motivi profondi per temere, dopo quattro anni di buon governo del centro sinistra, il rischio di una sconfitta alle prossime elezioni se non si corre rapidamente ai ripari.
Partiamo dalla coalizione: le forze politiche che la compongono sono molto distanti dai partiti che abbiamo conosciuto per lungo tempo. Lo sono per fondamenti teorici e ideologici in grande misura assenti, lo sono per insediamento sociale e territoriale, lo sono per l'azione politica che conducono nella società. Gran parte di esse sono legate alla cronaca più che alla storia di questo Paese e la loro fragilità non è solo un dato elettorale. In questa situazione la litigiosità tra di esse appare ancora più incomprensibile e legata a questioni di potere più che a diverse proposte programmatiche e diversi modelli di società su cui confrontarsi. La verità è che nella lunga transizione italiana ci siamo lasciati alle spalle i vecchi partiti, ma non siamo approdati ancora ai nuovi e la riaggregazione che comincia a delinearsi (la margherita, il girasole ) è più figlia dei meccanismi elettorali che di un vero processo fondativo. In questo quadro la scelta dei DS, compiuta all'ultimo congresso di Torino, di costruire in Italia una grande e moderna forza politica di sinistra, legata all'internazionale socialista e protagonista del suo rinnovamento è un primo punto fermo importante, ma non sufficiente. In una situazione del genere una coalizione semplice somma delle forze politiche esistenti ha una limitata capacità attrattiva e deve essere in grado di mettere in campo altre forze.
In questi anni il centro sinistra non è stato solo il governo dell'Ulivo, ma anche una importante e diffusa esperienza di governo locale, forse la più ampia che l'Italia abbia mai conosciuto. Protagonisti di questa stagione sono stati migliaia di Sindaci e amministratori locali che hanno contribuito a cambiare, in molti casi radicalmente, le città e le realtà territoriali che hanno amministrato. Quanto hanno pesato nell'immagine complessiva che il centro sinistra ha dato di se negli ultimi anni? Si sono sentiti protagonisti di un processo politico che andava oltre i loro municipi e le loro aree di competenza? La mia impressione è che lo siano stati sempre meno e sempre più in modo marginale. Recuperare un loro protagonismo diffuso, farne una delle leve fondamentali dello schieramento politico che si contrappone al centro destra, nell'epoca in cui si affermano federalismo e sussidiarietà non può essere un optional, ma una scelta strategica precisa. I governi locali sempre di più saranno parte del governo complessivo della società soprattutto nel momento in cui la globalizzazione, oltre a togliere poteri reali ai governi nazionali spostandoli nelle sedi sovranazionali, mette in discussione e sottopone a stress le identità delle comunità locali.
Se si vuole difendere la democrazia, salvandola dalla tentazione di scorciatoie autoritarie, occorre innovarla profondamente. Così come per salvare la politica occorre innovarla altrettanto profondamente. Questo è possibile se entrano in campo nuovi soggetti, se la democrazia e la politica assumono uno spazio ed un significato più ampio e diffuso. Non può essere un percorso deciso a tavolino, non basta l'illuminismo (ammesso che ci sia a sufficienza) di un gruppo o di un ceto dirigente. Ed arriviamo così alla terza questione: il riconoscimento pieno della politicità e della soggettività delle diverse formazioni sociali. In una società complessa si moltiplicano le sedi decisionali e quelle della costruzione del consenso. Riconoscerne la molteplicità e l'articolazione è già di per sé un'ammissione del limite delle forze politiche e del loro ruolo, ed uno stimolo forte a misurarsi con esse. Il primato della politica dei partiti non è più un dato ovvio e acquisito e chi lo pensa denota un approccio burocratico e distante dai processi reali. Il punto è come ricostruire un circuito virtuoso, che dia linfa vitale alla democrazia e non si trasformi in una babele di linguaggi ed in una frammentazione corporativa della rappresentanza. Il processo da costruire è l'esatto opposto del vecchio collateralismo in cui la società veniva occupata progressivamente dai partiti attraverso le organizzazioni di "area", quanto quello di riuscire a far interloquire la società nelle sue molteplici forme organizzate con i partiti rompendo una separatezza ed una incomunicabilità ormai intollerabili.
E' attraverso questo capovolgimento di schema che possono ricostruirsi una identità politica ed un profilo programmatico. Si pensi alla Calabria ed al suo sviluppo. Dopo il fallimento delle politiche meridionalistiche del dopoguerra e della programmazione del primo centro-sinistra quali proposte si mettono in campo? Da dove si vuole partire e dove si vuole arrivare? Il centro destra a corto di idee, e nella sua versione tecnocratica, propone ancora oggi unicamente la realizzazione di grandi infrastrutture, una nuova stagione di cemento e asfalto, come premessa esclusiva di uno sviluppo che il mercato di per sé dovrebbe determinare. Perché questo non sia avvenuto nel passato è per la "casa delle libertà" una domanda inutile ed oziosa. Sarebbe meglio invece capire quali sono state e quali sono ancora oggi le strozzature ed i gap da rimuovere e quali soggetti coinvolgere in questa prospettiva. Mi limito ad elencarne alcuni, per esigenza di brevità.
La sicurezza ed il controllo del territorio, in una realtà in cui ancora troppo forte è il peso delle organizzazioni criminali e troppo pervasiva la loro influenza anche nell'economia legale. La qualità e l'efficienza della pubblica amministrazione: siamo o no, in Calabria, ben al di là del peso che la burocrazia ha negativamente esercitato nel nostro Paese ponendo problemi che riguardano la trasparenza e la certezza del diritto? Questo è o no uno dei principali problemi con cui quotidianamente si scontrano le imprese e tutti i cittadini? Il credito, il suo accesso ed il differenziale che ancora persiste con il resto del Paese, per non parlare dell'Europa. Lo spreco e la cattiva gestione delle risorse materiali(dal territorio, all'acqua, all'energia, al patrimonio artistico e culturale ) ed umane (i giovani diplomati e laureati, le università ed i centri di ricerca, le mille professionalità e competenze della diaspora calabrese nel mondo). L'assenza o l'insufficienza di infrastrutture territoriali e tecnologiche (non tutte le strade, i ponti, le dighe, i porti, gli aeroporti hanno la stessa importanza e centralità). La rete dei servizi alle imprese ed alle persone largamente insufficiente ed in tanti casi inesistente (si pensi alle politiche sociali) di cui la regione ancora oggi soffre. E si potrebbe continuare ancora. Nonostante ciò non sono poche le realtà imprenditoriali, sociali, associative che ce l'hanno fatta, e molte altre potrebbero farcela se si cominciassero a rimuovere alcune di quelle strozzature.
A questa Calabria, a queste realtà più in generale occorre rivolgersi facendo leva sui loro successi e sulle loro difficoltà, per costruire, a partire da loro, un programma ed un movimento in grado di sostenerlo, per affermare una azione riformatrice profonda e radicale di cui la Calabria, e anche l'Italia, hanno bisogno. E' un percorso di non breve durata e che va ovviamente al di là di questa o quella specifica scadenza elettorale. Ma questo non può in alcun modo portarci a sottovalutare la posta in gioco nelle prossime elezioni politiche ed amministrative. Semmai è proprio per affrontare al meglio i mesi che ci separano dalle elezioni che dobbiamo avviare quel cambiamento più profondo che ho provato a delineare.



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