di Serge Latouche
Quando nel 1998 sottoscrissi l'appello del comitato "Tra Scilla e Cariddi", Perché
la saggezza prevalga sulla incoscienza, ero ben lontano dal riconoscere i mille ed
uno dettagli di questo straordinario rapporto (Osvaldo Pieroni, Tra Scilla e Cariddi.
Il Ponte sullo Stretto di Messina: ambiente e società sostenibile nel Mezzogiorno, Rubbettino,
Soveria Mannelli 2000, pp. 267). E' merito di Osvaldo Pieroni l'aver prodotto, grazie
ad un lavoro da certosino, una vera e propria summa, che raccoglie in modo chiaro ed intelligente tutti gli aspetti del dibattito. (traduzione
di Osvaldo Pieroni)
In mancanza di queste conoscenze specifiche, all'epoca avevo aderito in qualche modo
"d'istinto", fidandomi di un intuito che mi derivava dalla familiarità con i problemi
dello sviluppo locale in Francia e con quelli dei grandi progetti in Africa, così
come dalle mie ricerche sul progresso, la scienza, la tecnica e la modernità (si veda
in particolare il mio libro La megamacchina. Ragione tecnoscientifica, ragione economica
e mito del progresso, Bollati Boringhieri, Torino 1995).
Lavorando al piano di sviluppo urbano della regione Nord-Pas-de-Calais, negli anni
Settanta, non si diceva già che le strade, costruite con grandi spese che gravavano
sui fondi dipartimentali dell'agricoltura, destinati al benessere dei cittadini,
con il pretesto di togliere dall'isolamento le aree rurali, servivano invece a far sloggiare
l'ultimo contadino trasferendolo in città ed a permettere al primo parigino di fare
della vecchia azienda agricola, in tal modo liberata, la propria casa di campagna!
Avendo a lungo studiato il sottosviluppo del Terzo mondo con la sua scia di "elefanti
bianchi" (così vengono chiamati quegli inutili, costosissimi e smisurati cantieri
per opere faraoniche mai completate, Ndt.), di cimiteri delle cattedrali industriali
nel deserto o di progetti "safari", mi è subito venuto in mente che "l'ottava meraviglia
del mondo", questo superbo Ponte sullo Stretto di Messina, non fosse altro che -
secondo la bella espressione di Sergio Cofferati (p. 79) - "un collegamento velocissimo
tra due deserti infrastrutturali". Come nel caso della celebre diga di Inga nello Zaire
di Mobutu, ritroviamo qui tutti i miti "sviluppisti" alleati alla più sfacciata corruzione.
La disperazione generata dalle condizioni del sottosviluppo ed i complessi di inferiorità e di colpa che ne derivano, portano a confondere i virus più virulenti della
malattia con la cura.
Essendo poi divenuto ancor più sensibile alle ferite irreparabili che l'economia infligge
alla natura, ebbi anche il presentimento che, come dice Nella Ginatempo, "il Ponte
sullo Stretto [...] distrugge una risorsa dell'ambiente: la bellezza" (p. 95). Sentivo che ci si stava muovendo verso una catastrofe ecologica.
Il bel lavoro di Osvaldo Pieroni ha rafforzato i miei timori ed ha sostenuto con solidi
argomenti le mie riserve. Si potrebbe dire che si tratta di un caso da manuale, il
quale dimostra che le lezioni di tanti fallimenti di progetti faraonici in contesti
simili non servono per niente a scoraggiare gli imprenditori della distruzione in tempo
di pace. "Pensare e progettare ancora lo sviluppo in termini di acciaio, asfalto
e cementificazione - nota Osvaldo Pieroni - significa essere fuori dal nostro tempo,
ancorati ad una modernità industrialista che mostra la sua drammatica obsolescenza tanto
sul piano economico, che su quello politico e culturale" (p. 91).
Questo progetto costituisce un concentrato esemplare di come le logiche tecnoscientifiche,
accoppiate ai meccanismi economici ed alle perversioni burocratiche, possano comportare
quanto di più nocivo e pernicioso si possa immaginare. Esso contribuisce per di più a quella banalizzazione del male, denunciata da Hanah Arendt a proposito del
totalitarismo, ma che invece è propria dei tempi moderni. Questa infatti si perpetua
nella "democrazia di mercato" in modo più "soft", ma ancora più efficace che nei
sistemi totalitari. Ad essa contribuiscono in larga misura il culto dell'exploit tecnoscientifico
("la più importante realizzazione dell'uomo dopo lo sbarco degli americani sulla
luna", Nino Calarco, p. 20) e la credenza irrazionale nel progresso e nello sviluppo. In tal modo trova conferma la legge del sistema tecnico formulata da Jacques Ellul:
se è possibile fare una cosa, bisogna farla. Sotto la pressione delle lobbies, da
quelle del ciclo del cemento, della speculazione fondiaria e immobiliare, della mafia, fino alle corporazioni degli ingegneri e degli addetti ai lavori pubblici, una burocrazia
furba passa all'attacco giocando fino in fondo la tattica del fatto compiuto. Le
spese già fatte, le promesse sconsiderate non permettono più di tornare indietro.
E' inutile insistere sugli elementi di un dibattito che l'eccellente indagine di Osvaldo
Pieroni ha ordinato in modo pressoché esaustivo; non si possono che riprendere, sia
pur in altro modo, le sue conclusioni.
Anche se il progetto fosse razionale, ovvero conveniente in termini di rigoroso calcolo
economico, come in effetti sono parsi i progetti del tunnel sotto la Manica o il
più recente collegamento tra la Svezia e la Danimarca che legano due zone ad intenso
sviluppo e con un traffico in crescita, non sarebbe tuttavia ragionevole realizzarlo.
L'assenza di una vera analisi dell'impatto ambientale ed ecologico, diretto ed indiretto,
del progetto e delle sue ricadute non può che rafforzare le esitazioni delle persone sagge. La negligenza nel valutare la dinamica delle placche continentali, la sottavalutazione
dei rischi sismici, dei venti e delle correnti marine dovrebbero comportare l'abbandono
del progetto in virtù del principio di precauzione.
Tuttavia, in questo caso, l'analisi economica mostra che si tratta di un investimento
irrazionale, troppo costoso rispetto ai ritorni previsti, inutile rispetto alle alternative
immaginabili, senza prevedibili effetti di trascinamento vista l'importazione massiccia di tecnologie prodotte altrove; in breve si tratta di un esempio tipico
di quegli investimenti sconsiderati già fatti nel Mezzogiorno, che denuncia il prof.
Latella: "assolutamente privi di connessione organica con il territorio" (p. 105).
Si vede bene che nei fatti la ragione economica non è invocata che a titolo d'alibi. Ciò
che invece è sicuro è che, accantonando le soluzioni alternative, piuttosto che far
emergere la regione dalla depressione, si porterà a termine un crimine contro la
bellezza. Come scrive ancora Nella Ginatempo: "Se, dunque, mancano le categorie dell'utile
e del giusto, salviamo almeno le categorie del bello!" (p. 108).
Solo il fascino della prodezza spettacolare, prometeica, della gloriosa sfida cinta
d'aureola, del simbolo nazionalista e geopolitico dell'unificazione del territorio
italiano e del ricongiungimento materiale al continente può spiegare l'accecamento
nefasto di "brave persone" non corrotte da gruppi di pressione, i cui interessi di parte
sono chiaramente identificabili. Se Giove acceca quelli che vuol perdere, vogliano
gli Dei preservare la Calabria e la Sicilia da un destino così funesto!