di Angelo Marano
La lettera aperta agli economisti dell'Associazione per il rinnovamento della sinistra, su "Il Manifesto" e "Liberazione" del 14 giugno,
stimola ad una risposta, necessaria anche perché non è la prima volta (è già avvenuto ad esempio al forum per una politica
economica alternativa in Europa lo scorso ottobre a Bruxelles) che dal mondo ecologista si propone una dicotomia fra crescita e
sostenibilità che ritengo fuorviante. Non penso che in questo momento la supposta contrapposizione fra crescita e sostenibilità sia
centrale, mi sembra che il problema sia invece quello di realizzare un modello di sviluppo che non comporti la sistematica
distruzione delle risorse naturali ed ambientali . L'obiettivo deve essere quello di una crescita forte e rispettosa dell'ambiente, che
anzi trasformi l'ambiente in ricchezza. E' la convinzione che un diverso modello di sviluppo sia possibile che vede impegnati gli
economisti di sinistra. Non ne conosco che rispondano all'immagine caricaturale che emerge dalla lettera. Da essa sembra che
l'economista abbia come unico obiettivo di massimizzare i consumi, nel senso di più auto, più frigoriferi, più computer, più
autostrade, più tutto. Ad esso si contrappone una "consapevolezza ecologista nel sociale" che potrebbe addirittura arrivare a
"insidiare le basi stesse dell'economia capitalistica di mercato" se a farsene portavoce fossero i "nuclei attivi del lavoro dipendente"
superando per un attimo le lori "classiche, e certo irrinunciabili, rivendicazioni salariali e normative".
Questo provocherebbe un "arresto o un forte contenimento della crescita", e lo sviluppo di "settori non mercantili, indirizzati alla
produzione di beni sociali". Nulla in contrario, anzi, sulla opportunità di sviluppo di un nuovo modello di produzione (quindi anche
consumo) di beni sociali, d'accordo sulla consapevolezza ecologista nel sociale. Qualche perplessità sulla considerazione del solo
"lavoro dipendente come oggetto in grado di aprire un nuovo orizzonte storico-politico", che non mi sembra faccia giustizia della
complessità delle dinamiche in atto nel mondo del lavoro. comunque l'obiezione principale è che tutto questo porta ad un aumento
del Pil e della crescita economica, non ad una sua diminuzione. Facciamo degli esempi. Se si decide che punto prioritario deve
essere il risanamento delle coste italiane, la distruzione degli eco-mostri, il risanamento del territorio, ci sono dei soldi, tanti, da
spendere, il che aumenta la domanda e genera crescita. Se si decide di privilegiare il trasporto pubblico anziché il privato, ovvero
ridurre le emissioni di gas di scarico, il tutto richiede investimenti e si traduce in consumi, pubblici e privati, registrati in contabilità
nazionale. Se si decide di promuovere l'agricoltura biologica, cosa opportuna anche dal punto di vista imprenditoriale, vista la nostra
conformazione geografica, di nuovo sono necessari investimenti, pubblici e privati, che generano redditi, occupazione, crescita.
Anche i settori non mercantili, infine, fatturano e generano redditi, il che vuol dire che, a prescindere che siano o meno profit
oriented, generano crescita economica. Certo la definizione di prodotto interno lordo (Pil), consumi, domanda non sono molto
soddisfacenti, anche dal punto di vista ambientale (la distruzione dell'ambiente non viene contabilizzata, mentre viene contabilizzato
il risanamento, ma non è questo il problema principale in questo momento. Spero con ciò di avere chiarito quello che considero un
pericoloso equivoco. Identificare nello sviluppo tout court il nemico non coglie le reali dimensioni del problema. La lotta dev'essere
per modelli di sviluppo compatibili con l'ambiente e la qualità della vita.