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La "lezione" di Reggio passata sotto silenzio

di Cesare Marini



La ricostruzione del sistema dei partiti, dopo la crisi esiziale del comunismo e la bufera di tangentopoli, ripropone l'elemento di debolezza della democrazia politica rappresentato dall'assenza di un grande partito socialdemocratico. La storia del Paese è stata profondamente segnata da questo vuoto e non è azzardato affermare che se nel Venti la sinistra fosse stata egemonizzata da una forza riformista si sarebbe evitata la tragedia fascista. E anche nel secondo dopoguerra la cosiddetta democrazia bloccata, espressa dalla inamovibilità, nella guida del Paese, di un partito e di un gruppo dirigente con tutte le degenerazioni prodotte dalla mancanza di alternativa, si sarebbe potuto evitare se vi fosse stato un partito del socialismo europeo di grande peso elettorale. La questione si ripropone all'alba del nuovo secolo e in un contesto profondamente mutato perché segnato dal superamento dei confini nazionali e dall'imposizione del modello unico di mercato senza vincoli o regole. La novità è di tale rilevanza al punto che tutti i partiti socialdemocratici europei di antica tradizione si interrogano su quale debba essere la proposta programmatica del riformismo del Duemila. La pervicace volontà di riorganizzare il partito socialista in Italia ha origine dalla considerazione che, oggi, vi è una diffusa convinzione che la sinistra di governo non può che essere democratica e riformista. La sparizione del PCI non ha risolto automaticamente il problema, ma ne è la condizione perché ha consentito l'affermazione delle idee riformiste sulla parte più consistente dell'elettorato di sinistra. Pensare, però, che il cambio di denominazione del PCI in PDS prima e in Democratici di sinistra successivamente possa avere generato il partito socialdemocratico è un puro esercizio illusorio non condiviso dai cittadini che, attraverso il voto, hanno dimostrato di giudicare non compiuto il processo. Sarebbe stato sbagliato per i socialisti, sebbene ridotti numericamente, rinunciare a difendere la propria identità di riformisti stante l'inesistenza di una forza erede della tradizione socialista. Lo SDI ha l'obiettivo di concorrere alla costituzione del partito dei riformisti aperto a tutte le forze del socialismo democratico, cattoliche, progressiste, liberali, repubblicane e ambientaliste.
L'itinerario dello SDI in Calabria si colloca nella prospettiva nazionale con accresciute responsabilità per il peso elettorale.
Il contributo dei socialisti alla coalizione di centro-sinistra è stato notevole non solo per l'apporto numerico ma, soprattutto, per lo spirito e il metodo che ne ha caratterizzato la partecipazione. Le divergenze che si sono appalesate in alcuni enti locali, mai taciute dagli eletti dello SDI, non hanno mai determinato, salvo isolate eccezioni minori, interruzioni delle legislature né ribaltamenti di alleanze. Sono ben note certe polemiche nei maggiori enti locali della provincia di Cosenza che, comunque, sono state mantenute nell'alveo del mantenimento dell'esperienza dei governi in carica. Questo atteggiamento ha interpretato correttamente lo spirito del maggioritario bipolare e, nella prassi, ha cercato di dare una risposta in positivo ad alcuni elementi di debolezza dell'attuale legislazione elettorale.
I rapporti improntati a correttezza e lealtà nell'alleanza non possono far tacere le singole voci; lo SDI, infatti, non ha avuto alcuna esitazione ad esprimere atteggiamenti parlamentari diversificati su questioni importanti quali la scuola, il TFR, l'informazione televisiva, la costituzione del governo D'Alema, la legge elettorale e su altri temi di rilievo. La vicenda elettorale della regione Calabria è stata un altro momento di manifestazione di autonoma determinazione nel rapporto coerente di partecipazione all'alleanza. La richiesta socialista di poter proporre e riconoscere il candidato alla presidenza della giunta regionale era ampiamente motivata dal peso dello SDI nel centro-sinistra e dalle possibilità di ampliamento del consenso. Come è finita la vicenda è dinanzi agli occhi di tutti ed oggi è incomprensibile il perché non si faccia una riflessione seria sulle cause della sconfitta. Appare incomprensibile il divario di voti a vantaggio del Polo nella provincia di Reggio Calabria che pure aveva espresso il vertice regionale del centro-sinistra oltre al sindaco della città capoluogo e il presidente dell'amministrazione provinciale. Quello di Reggio è un risultato da scoprire e indagare o solo un giudizio non lusinghiero per le esperienze amministrative del centro-sinistra? E oltre a Reggio vi sono altre cause? E' stato saggio fare il ribaltone o alla luce degli avvenimenti successivi sarebbe stato meglio porre termine in anticipo alla legislatura? Sono tutti questi quesiti che dovranno essere affrontati in un dibattito senza veli e reticenze. Il futuro bipolare del sistema politico in Italia è legato all'equilibrio tra le parti che formano i due maggiori schieramenti.
La guida a due, assunta dai democratici di sinistra e dai popolari esclude fasce consistenti di cittadini dalla rappresentanza, come dimostra l'affanno elettorale dei partiti che hanno governato il Paese negli ultimi quattro anni. E' difficile negare che esiste una contraddizione tra i risultati largamente positivi, dei governi che si sono succeduti dopo il '92, con esclusione dell'esecutivo Berlusconi, non giudicabile per la sua brevità, e la situazione per come si presenta nella odierna vigilia elettorale. Qualche motivo di debolezza ci dovrà pure essere nella iniziativa di governo che ha impedito di raccogliere i meriti per avere condotto una politica di risanamento severo nella prima fase di introdurre, nella finanziaria in discussione nel Parlamento, una serie di misure a sostegno delle imprese e delle famiglie. Il tema allora di una incompleta rappresentanza politica, reso visibile dalla direzione duale, è una delle cause, anche se non l'unica, dell'incertezza elettorale.
La valorizzazione della tradizione socialista è interesse primario di tutta la coalizione per l'importanza che essa ha avuto nella politica riformista dopo il Sessanta in Italia e soprattutto per la spinta innovativa promossa in Calabria con l'alleanza del primo centro-sinistra.
La politica amministrativa nella città di Cosenza o nell'hinterland, e per tutti vale l'esempio di Rende, merita una convinta valorizzazione da parte degli alleati per la capacità di direzione politica che impone un vero e proprio modello. L'esperienza di Mancini a Cosenza, al di là delle polemiche giuste o strumentali che solleva, è un esempio di rinnovamento e di cambiamento della città che un giorno sarà ricordata come un esperimento alto della iniziativa socialista.
L'idea dello SDI di lavorare per un partito nuovo del riformismo vuole conciliare il passato nobile con la ricerca di proposte aderenti alle profonde trasformazioni intervenute nella società.
La riduzione del lavoro subalterno e il primato del lavoro autonomo; i cittadini e le famiglie, purtroppo in aumento, che alimentano l'area della povertà, diversi dal passato per provenienza sociale; la rivoluzione tecnologica che ha provocato un aumento della produttività dell'apparato produttivo, ma ha ridotto l'occupazione, richiedono uno sforzo di adeguamento programmatico possibile se si intraprenderà la strada della fondazione di un nuovo soggetto politico.



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