di Giuliana Mocchi
Che cos'è il Mediterraneo? Mille cose insieme. Non un paesaggio, ma innumerevoli
paesaggi. Non un mare, ma un susseguirsi di mari [...] E' un crocevia antichissimo.
Da millenni tutto vi confluisce, complicandone e arricchendone la storia come un'immagine
coerente, un sistema in cui tutto si fonde e si ricompone in un'unità originale .
(Fernand Braudel, Il Mediterraneo, Bompiani, Milano, 1999, p. 9).
Questa ricchezza di storie e di confluenze, di trasformazioni e di cambiamenti, di
osmosi e distacchi sembra raccogliersi nel cuore del Mediterraneo, all'estremo limite
di quella terra-ponte (questa è la felice espressione con la quale Franco Cassano
definisce l'Italia ne Il pensiero meridiano, Laterza, Bari, 1996) che unisce Europa continentale
e Africa: nello Stretto, nel collo di bottiglia tra oriente egeo e occidente tirrenico,
dove si mescolano, violente, le acque dei due mari più antichi della nostra civiltà, dove i fondali custodiscono uno straordinario museo di archeologia marina.
Il mare dello Stretto, dice Osvaldo Pieroni nel suo ricco studio-documento-racconto
sul, anzi, contro il ponte dello Stretto (Tra Scilla e Cariddi. Il Ponte sullo Stretto
di Messina: ambiente e società sostenibile nel Mezzogiorno, Rubbettino, Soveria Mannelli 2000), è un luogo che mantiene ancora i segni (unici e dinamici) del percorso-cammino,
dell'andata e del ritorno, del movimento di risacca che è anche attraversamento di
idee e di costumi. La vitalità di questo luogo, il suo dimanismo così peculiare offre, proprio per questo motivo, non solo segni, ma anche possibilità reali di attraversare
quelle condizioni di limite "vere" e non virtuali né immaginarie che man mano scompaiono
nel complessivo rattrappimento dello spazio-mondo.
Lo Stretto è luogo dunque, non solo nel senso di una "geografia epistemica", ma anche
nel senso di una "geografia vivente", perché cambia e si trasforma nelle correnti
delle suw acque, in superficie e in profondità, perché è luogo zoologico speciale,
perché tiene insieme e separa una altrettanto speciale solidarietà tra sociale e naturale.
In questo forse si nasconde quell'impressione di meraviglia che coglie in uno sguardo
i bordi di due terre divise da una striscia di mare che sembra perennemente abitata: dalle grandi navi che vi scivolano sopra, dagli uccelli di passo, dalle fantasie
della memoria che rincorre le immagini dei miti, che qui più che altrove sembrano
spiegare e farsi simbolo di fenomeni naturali più mostruosi e per ciò stesso più
misteriosi: i gorghi, il terremoto, il miraggio Scilla, Cariddi e la Fata Morgana.
In questo Pieroni individua la possibilità irripetibile di vivere (e non solo di sperimentare
o immaginare) il limite di contiguità storia/vita, natura/cultura, ambiente/società,
straordinario/ordinario, cultura del rischio/progetto delle risorse che è insito nell'ambiguità della realtà stessa: quella della natura che esprime se stessa
nelle nostre scelte sociali e culturali, che ci limita ma non ci determina, che ci
condiziona ma non sempre ci costringe.
Azzerare tutto questo è obbligarci a mantenere ininterrotta, sempre e comunque, la
dimensione unica dello spazio/luogo continuo, omogeneo, scandito esclusivamente dal
tempo dell'accelerazione, dell'artificio tecnico: tempo uguale, presente perpetuo,
spazio ininterrotto; un unico serpente d'asfalto, sopra e dentro la terraferma, e poi sospeso
sul mare: ciò che ricade sull'ambiente, in termini di danno ecologico e di delitto
paesaggistico, correndo sul serpente, lo si ignora.
Rimuovere le tracce visibili di ciò che in passato è stato iato, frattura e ostacolo
(il mare tra le terre e con esso, se lo si deve passare, la pausa, e magari il disagio
dell'attesa) non sempre è realmente vantaggioso (ma in questo caso sarebbe anche
catastrofico almeno dal punto di vista ambientale) se deve significare la perdita irrimediabile
di un pezzo di memoria: lo Stretto, il profilo delle terre di Calabria e di Sicilia,
il loro limite e la bellezza unica di questo luogo, che con il ponte sarebbe definitivamente distrutta.
Questa perdita di memoria diventa alla fine un insulto anche per il senso del presente,
se memoria è anche il punto di riferimento essenziale perché il tempo del qui e ora
acquisisca il senso del processo, dello svolgersi, del tendere-verso e del giungere-da. E certo, se è vero che noi oggi tendiamo verso il nord e l'occidentalizzazione
(perché è così che percepiamo l'idea di Europa e quella di sviluppo), è anche vero
che giungiamo dal sud e dall'Oriente, che è la culla originaria della nostra civiltà
attuale: Europa infatti è, nelle sue origini etimologiche, "terra del tramonto" e "terra
dell'alba" ( Europa. Questo nome scrive Pieroni - era conosciuto dagli antichi
mesopotamici come ereh, che vuol dire "terra del tramonto" Esu da cui evidentemente
Asia, dall'altro stava a significare "terra dell'alba". Il buio e la luce, occidente e oriente"
[Ivi, p. 9]).
Si dice che il nostro è il tempo della tecnica, un tempo omogeneo ralativamente ai
modi e agli scopi, che progetta solo all'interno del suo strumentario, che non ammette
differenze di valore: è il tempo di Prometeo che ruba agli dèi il fuoco e con esso
il potere di creare, ma con questo gesto tracotante il titano è punito con l'autodistruzione
e la condanna di sé: è condannato cioè a una sorta di coazione a ripetere che non
avrà mai fine. E in ciò si manifesta chiaro il conflitto tra il tempo della storia
e il tempo del profitto, tra l'idea di progresso intesa come la volontà di diventare
altro da ciò che si è e l'idea di tutela di ciò che si è conservato nella storia
delle civiltà: la cultura e anche la natura. Se il nostro tempo è diventato unicamente
il tempo di Prometeo, allora il senso del tempo naturale, la percezione dell'evolversi
della storia, che è anche dare la possibilità al presente di collocarsi nel futuro,
è in tal modo distrutto, anche in nome e per conto delle generazioni a venire.
Quando questa dimensione del tempo della tecnica si attesta come dimensione unica
del mondo della vita, da questo ne risultano espulsi molti degli elementi fondamentali
che danno senso e valore alla consapevolezza dell'esistenza: Lo spazio in quanto
paesaggio significativo scrive Pieroni - in quanto ambiente vissuto - ovvero il luogo
dell'azione, il luogo della dinamica del corpo - ed il tempo come storia evolutiva
e delle generazioni che in quei luoghi o in riferimento ad essi si ripetono e si
formano [...] sono parte del mondo della vita come sfondo della comunicazione e come riferimento
della coscienza collettiva. Le emozioni e i sentimenti che un luogo suscita, che
dalla esperienza di un luogo emergono, attraverso l'intersoggettività linguistica
e il suo ripetersi si tramutano in enunciati, ovvero in aspettative normative, in valori.
E questi ultimi, in quanto tali, hanno pretese universalistiche (Ivi, pp. 129-30).
In questo senso alterare irrimediabilmente un luogo così intensamente segnato da questi
valori che non esprimono nostalgie sentimentalistiche, ma che racchiudono e segnano
la profonda tensione tra il luogo e la sua storia, la relazione tra la natura e le
identità culturali e sociali lì presenti, significa estirpare con violenza una memoria
universale da quel momento della vita, che è il patrimonio legittimo e inalienabile
di tutta l'umanità.
Cemento, asfalto e acciaio non sono l'unica strada allo sviluppo, se per sviluppo
si intende creazione di un proficuo equilibrio tra le esigenze dei luoghi della vita
(e l'ambiente è luogo della vita per tutte le specie viventi che lo abitano) e le
identità umane e culturali di tutte le civiltà che in quei luoghi hanno lasciato e lasceranno
le tracce del loro tempo vissuto.
La memoria di queste relazioni dunque non è un patrimonio privato di una o di alcune
generazioni, ma è risorsa e bene universale, anche delle generazioni a venire e di
questo siamo tutti chiamati ad assumerci la piena responsabilità. La memoria del
paesaggio dello Stretto è dunque bene universale, allo stesso modo del patrimonio naturale
che è custodito dentro e intorno a quel lembo di Mare Nostrum che vi scorre: cancellarla
equivale ad un furto, come ben evidenzia l'appello al governo italiano del comitato Tra Scilla e Cariddi":
"La cancellazione della memoria del tratto di mare
tra Scilla e Cariddi,
quello che i nostri figli dovranno ancora chiamare
lo Stretto di Messina,
distrugge un luogo simbolico di relazione tra storia e natura,
dove la comunità umana da sempre riconosce
quel senso concreto della distanza
che sola può determinare l'incontro fra le differenze".