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I movimenti del '68-69 secondo Bruno Trentin

di Amelia Paparazzo



E' ricca di spunti e di suggestioni la bella intervista di Guido Liguori a Bruno Trentin sul '68 e sul '69 (Autunno caldo. Il secondo biennio rosso - 1968-1969, Editori Riuniti, Roma, 1999, pp. 172, 15.000). Divisa per grandi temi l'intervista cerca di stanare l'anziano leader con il risultato di risposte a tutto campo.
Ciò che sorprende nei movimenti del '68 è la loro simultaneità e l'affinità negli obiettivi e nelle tematiche di fondo che, nelle diverse aree del mondo in cui si manifestano, trovano una spiegazione in alcuni eventi che scandiscono la storia dei primi anni Sessanta del Novecento: il Concilio Vaticano II, la crisi dello stalinismo, le nuove problematiche femministe in via di sganciamento dalle vecchie ideologie socialiste sull'emancipazione delle donne, le lotte di liberazione del Terzo mondo che si sviluppano in seguito alla guerra in Algeria, i fenomeni di rivolta della popolazione nera americana.
I movimenti del '68-69 rappresentano secondo Trentin la prima grande contestazione di massa, il primo momento di rifiuto e di resistenza alla "burocratizzazione autoritaria" della società civile e dello stato prodottasi nella fase ultima della razionalizzazione fordista e taylorista (pp. 15-16). Di fronte ad un'organizzazione della società fortemente gerarchizzata e a un sistema produttivo basato sulla burocratizzazione, sulla divisione rigida delle mansioni e sulla mancanza di autonomia individuale, i giovani della fine degli anni Sessanta vivono una profonda crisi di identità, di depersonalizzazione , che li spinge, a qualsiasi classe sociale appartengano, verso un rifiuto del sistema vigente. Una contrapposizione netta che si manifesta nella volontà di scardinare valori, comportamenti e irrigidimentazioni consolidati. Ritroviamo infatti in tutte le manifestazioni di questi movimenti - osserva Trentin - una carica antiautoritaria; la contestazione di una cultura ossificata in una serie di "nozioni" e di una organizzazione del lavoro che tende ad espropriare e centralizzare i saperi, anche attraverso la segmentazione, la parcellizzazione del lavoro; la contestazione di una rigida e impermeabile divisione dei ruoli fra dirigenti e diretti e, nella scuola, fra docenti e discenti. E troviamo, per converso, l'affermarsi, anche attraverso l'azione collettiva, di una volontà individuale di conquistare nuovi spazi per l'autorealizzazone di sé (p. 17). Questa carica antiautoritara riuscì a permeare ampi settori della società. Il sindacato soprattutto fu investito dai contenuti fortemente innovatori espressi nella prima fase di vita dei movimenti e ristrutturò la sua organizzazione in senso antiburocratico e antiautoritario sottraendosi alla dipendenza politica e ideologica dal partito comunista. Mentre i partiti della sinistra (PCI e PSI) si dimostrarono restii ad accogliere spinte liberatarie ( per la maggioranza dei gruppi dirigenti del PCI, a differenza di quanto accadeva nella Cgil, la questione dominante in Italia era ancora quella del "completamento della rivoluzione liberale borghese", della lotta contro i monopoli per "democratizzarli" e contro un capitalismo "straccione" incapace di produrre sviluppo. Tutto doveva essere subordinato a questo obiettivo, che si richiamava al Gramsci dei primi anni venti. Questo allorquando, invece, tutto stava cambiando (p. 33).
Vediamo come Trentin ricorda alcuni momenti di mobilitazione nel 1968 nelle regioni meridionali del Paese: E poi il 1968 è stato l'anno della battaglia dei lavoratori del Sud che sfocerà in una grande lotta solidale del movimento sindacale italiano per abbattere le "gabbie salariali" che penalizzavano, non solo al Sud, le fasce più deboli e più oppresse della classe lavoratrice. Il '68 fu l'anno di Avola, con l'uccisione nel dicembre di due braccianti, militanti della Cisl, che si battevano con i loro compagni per cancellare assurde discriminazioni salariali che negavano il diritto fondamentale a una "uguale paga per un uguale lavoro" e per sottrarre il collocamento della manodopera al predominio brutale dei "caporali" e della mafia. La battaglia per superare le gabbie salariali, che dall'aprile '68 già impegnava molte province del Mezzogiorno e che era approdata a primi accordi locali conclusi dai sindacati, divenne rapidamente una lotta solidale e nazionale per l'unità dei lavoratori del Nord e del Sud, prima di tutto sul piano dei diritti e delle opportunità. Subito dopo l'eccidio di Avola, infatti, le confederazioni sindacali proclamarono scioperi nazionali e organizzarono manifestazioni in tutto il paese. Gli agrari di Avola furono costretti a firmare un accordo. La polizia venne, di fatto, inibita a ricorrere all'uso delle armi nel corso delle lotte sociali (pp. 80-81).



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