Ora Locale

(Digita o Clicca su "Ora Locale" per tornare indietro)


Intervista a Lelj Garolla Di Bard

Rettore dell'Università degli Studi della Basilicata

A cura di Lidia Pedío



Cominciamo dalle dolenti note: le lamentele degli studenti. Questi si lamentano spesso dei disservizi dell'università, soprattutto della mancanza di disponibilità da parte dei professori (molti dei quali vengono da fuori, ed anche quelli che sono di Potenza sono spesso inavvicinabili) e, per alcune facoltà, delle sessioni di esame, della impossibilità di reperire i libri. Come si pensa di risolvere questo problema?
Io penso che gli studenti debbano imparare a protestare. Quello che cerco spesso di spiegare agli studenti durante la lezione è che, se vogliono essere rispettati, devono imparare a protestare. Non posso dire altro perchè le soluzioni sono complicate rispetto a certe accuse poiché queste devono essere esplicitate, circostanziate. La mancanza di informazioni precise può solo portare a dei richiami molto generici su comportamenti scorretti. La verifica puntuale è demandata ai Presidi, che hanno proprio il compito di vigilare su queste cose; se dai Presidi non mi arrivano indicazioni precise al riguardo non ho molte possibilità di risolvere i problemi, né posso sostituirmi a loro, perché bisogna rispettare le autonomie delle istituzioni.
C'è un'altra cosa, invece, che potrebbe avere una soluzione a livello istituzionale: più del 60% degli studenti dell'ultimo anno di scuola superiore intervistati dichiarano di volersi iscrivere presso altre università. In questo clima di autonomia scolastica, in cui le scuole si pubblicizzano e si offrono all'utenza alla pari di un qualsiasi prodotto commerciale, cosa propone l'Università della Basilicata per convincere i giovani ad iscriversi?
Su questo problema abbiamo già in parte coinvolto il Senato Accademico segnalando la necessità di operare in termini di indicazioni da fornire agli studenti delle scuole superiori. Già in passato, comunque, abbiamo svolto delle azioni di questo tipo, sono stati organizzati una serie di seminari indirizzati alle scuole medie superiori di tutta la Basilicata nel corso dei quali alcuni nostri colleghi hanno illustrato cosa è la nostra università e cosa è in grado di offrire ai suoi studenti, partecipiamo attivamente alla "Settimana della Cultura Scientifica", organizziamo visite dell'ateneo e delle sue risorse scientifiche. Quindi un tentativo di indicare qual'è la nostra offerta formativa è stato fatto. Forse, però, in passato, non è stata dedicata a questo problema tutta l'attenzione che meritava, ma oggi abbiamo interesse ad approfondire questo aspetto. A questo proposito voglio dire che sono stato invitato a Lauria il 18 novembre ad un seminario al quale parteciperò personalmente, anche per dare un segno tangibile del mio interessamento. Essendo un'università piccola ci possiamo anche permettere di partecipare direttamente a questo tipo di iniziative. Penso che sia importante dare un segno dell'attenzione che l'università rivolge all'offerta formativa e, soprattutto, alla sua divulgazione. Credo, però, che le accuse che ci vengono rivolte siano di natura più ampia e riguardino l'offerta formativa reale dell'università che spesso viene giudicata ridotta, mancante in alcune aree disciplinari che sono le più richieste. Questo è un problema del quale ho discusso in varie sedi, con il presidente della Giunta Regionale , Bubbico, con il Presidente del Consiglio Regionale, Mitidieri, e con il sindaco di Potenza,Fierro; la più frequente occasione del contendere è stata la mancata istituzione di nuovi corsi di laurea, in particolare Giurisprudenza, poiché si ritiene che l'assenza di certe facoltà possa costituire, in qualche modo, una limitazione per tutta una serie di strutture operanti nella regione. La mia opinione è che la creazione di nuovi corsi di laurea debba essere oggetto di grande attenzione e spesso queste operazioni vengono prese alla leggera. Aprire un corso di laurea non vuol dire soltanto avere iscritti, due aule e quattro banchi. Ritengo che l'università sia una cosa più seria, quindi c'è bisogno di una programmazione molto attenta, che riguardi non solo quello che sono i banchi, la cattedra, la lavagna, il gesso, qualche docente pagato a contratto, ma tutta una serie di strutture, come le biblioteche, e di risorse, cose che non si trovano dalla mattina alla sera. In Italia, poi, è molto radicata l'abitudine di mettere a disposizione un pacchetto di denaro in un dato momento senza preoccuparsi delle esigenze nel tempo delle iniziative intraprese. L'università ha delle grosse responsabilità su quello che fa e ritengo che l'apertura di corsi di laurea ex novo, che non hanno, cioè, alcuna radice nell'ateneo, sia una cosa estremamente delicata che va fatta ponderando attentamente e valutando anche quale possa essere il reale vantaggio che tale operazione può portare sia alla comunità civile sia all'università. Credo che non si possa ragionare semplicemente in termini di numero degli studenti iscritti, o degli studenti laureati, perché l'impatto di un corso universitario è sicuramente più ampio e non valutabile semplicemente in questi termini anche se, senza dubbio, una valutazione costi/benefici va fatta. Personalmente forse ritengo più opportuno utilizzare le risorse interne allo scopo di dare un'offerta didattica più differenziata, ma sempre nell'ambito di quei settori disciplinari già presenti all'interno dell'università. Per esempio, la facoltà di scienze potrebbe potenziare la sua offerta ricomponendo le competenze di facoltà affini, quali, per certi versi, quella di agraria o di ingegneria. In questo modo, quindi, l'offerta formativa non sarebbe più sclerotizzata all'interno della singola facoltà, ma potrebbe utilizzare in modo più duttile gli altri insegnamenti presenti per ampliarsi e rendersi, forse, anche più aderente alle esigenze del mondo del lavoro. In sintesi, non bisogna mai dimenticare che una buona preparazione universitaria deve avere un respiro molto più ampio della semplice conquista del posto di lavoro, deve dare una formazione che sia rispondente alle esigenze del mondo del lavoro, che oggi richiede una certa versatilità ai suoi addetti. Se chi esce dall'università non ha compreso questo, e non ha imparato ad imparare, vuol dire che l'università non gli ha dato molto e non ha raggiunto il suo scopo.
Certo, la conquista del posto di lavoro è vissuta come un problema nelle nostre zone.
Sono d'accordo, ma non penso che debba essere l'università a risolverlo. Noi dobbiamo soltanto fare il nostro lavoro al meglio, formando le persone correttamente in modo da permettere la loro introduzione in un mercato del lavoro non solo locale ma europeo.
Spesso le università finiscono col diventare soltanto degli esamifici. Quali prospettive ha l'Università di Basilicata per essere un centro di cultura e non un esamificio?
Onestamente non credo che il nostro ateneo possa essere considerato un esamificio. Ho insegnato e insegno in questa università da tempo e posso dire per esperienza diretta che tutti i corsi di tipo tecnico-scientifico difficilmente possono essere superati semplicemente andando a fare gli esami studiati "per corrispondenza". Gli studenti vengono stimolati a frequentare i dipartimenti, a parlare con i docenti, ad esporre loro i problemi. Mi è capitato più di una volta di sedermi ai banchi con gli studenti per discutere con loro di difficoltà didattiche, di soluzione dei problemi, di argomenti che non conoscevano o volevano approfondire, e conosco altri colleghi che fanno questo. E' chiaro che la sensibilità dipende da persona a persona; probabilmente ci sono professori che svolgono il proprio lavoro con maggiore attenzione e dedizione ed altri che di attenzione ce ne mettono meno, ma questo avviene in tutti i settori lavorativi. Ripeto, però, che il Rettore non può fare da guardiano in tutte queste situazioni, sono gli studenti che devono, ogni volta, essere guardiani dei loro interessi. Non vorrei dire cattiverie ma, secondo me, è una questione culturale; spesso si è abituati ad accettare ciò che viene dato dal potere come una concessione e non come un diritto al quale dobbiamo accedere. Bisogna quindi operare un cambiamento culturale che, però, l'università da sola non può attuare; questa operazione deve essere effettuata da tutte le componenti sociali, tutti vi devono partecipare. Forse l'università, essendo, come dico io, una finestra sull'universo, si trova a svolgere un ruolo maggiore poiché deve formare il giovane in modo da permettergli questo cambiamento, però, ripeto, il problema è culturale ed è molto antico. Non si può risolvere in una notte e, soprattutto, non può essere risolto solo dall'università. Questa può soltanto contribuire stimolando i suoi studenti, dando loro esempi che li abituino ad avere un diverso rapporto dialettico con il potere, che li spingano a considerare il potere come espressione democratica e non come espressione divina alla quale doversi inchinare. Ma questo è un problema che non ha nulla a che fare con i contenuti disciplinari. C'è una grandissima paura della vendetta del potere e, se vogliamo, c'è anche una certa codardia in questo: si preferisce scendere a patti con il potere piuttosto che affrontarlo. Forse si è ancora fatta la Rivoluzione Francese!!
Un'ultima domanda: che cosa ha trovato all'Università di Basilicata e cosa spera di lasciare al termine del suo mandato?
Questa è una domanda complicata che, ovviamente, non ha una risposta semplice. Nell'università ho trovato elementi di grande luce ed elementi di ombra: mi auguro di lasciare tutta la luce. Potrei rispondere in modo estremamente dettagliato e puntuale ma non credo che questa sia la circostanza più adatta. E' chiaro che sarebbe sciocco dire che ho trovato tutta luce e non mi sento neanche di dire che sia tutta ombra, perché sono state fatte operazioni coraggiose; ci sono persone che lavorano seriamente, ci sono ricercatori appassionati che fanno il loro lavoro con onestà, soddisfazione e riconoscimento a livello nazionale ed internazionale. Ci sono anche persone poco attente ed accurate, che hanno altrove i loro interessi, diversi da quelli istituzionali. La situazione è complessa: la nostra è un'amministrazione articolata, composta da 600/700 persone, quindi il panorama, lo spettro di personalità, di attività, di funzioni è molto ampio e vario. E' chiaro che lo sforzo di chi, come me, si imbarca a fare una cosa del genere è finalizzato a ridurre le zone d'ombra e riportarle alla luce; bisognerà vedere se sarò in grado di farlo. Operazioni del genere non si fanno da soli, non c'è dubbio. Bisognerà anche vedere quanta collaborazione avrò. Devo dire che la sensazione che ho ricavato, dal primo momento, sia all'interno del personale tecnico-amministrativo sia tra i docenti, tra i colleghi, è che c'è una forte volontà di riportare alla luce tutto ciò che sarà possibile riportare. Con questo non voglio dire che in passato ci sia stato qualcuno che ha creato zone d'ombra, sia chiaro; i miei predecessori hanno cercato di costruire l'università, hanno fatto scelte coraggiose, che altri probabilmente non avrebbero fatto, quindi non voglio dire che sono migliore degli altri, assolutamente no. Loro non avevano la "bacchetta magica" come non la ho io. Gli altri hanno terminato il loro mandato, quindi possono essere giudicati, io sono appena all'inizio e non posso essere ancora valutato. Sarebbe velleitario da parte mia dire di essere migliore degli altri: giudicherò me stesso alla fine del mio mandato.



Ora Locale

(Digita o Clicca su "Ora Locale" per tornare indietro)