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Un pezzo di sole piovuto dal cielo

La caduta di un aerolito in Calabria nel 1583 e la spiegazione di Bernardino Telesio

di Spartaco Pupo



Lo scorso inverno, oltre che per l'ingresso del 2000, sarà ricordato per un fenomeno davvero eccezionale, verificatosi dapprima in Spagna e poi in Italia: la caduta dal cielo di misteriosi blocchi di ghiaccio.
Un evento di questa natura non si era mai visto prima. Meteorologi, fisici, astrofisici si sono tutti sforzati di darne una spiegazione, la più scientifica possibile. Per alcuni si è trattato di un inabituale processo meteorologico dovuto al raffreddamento del vapore acqueo presente nell'atmosfera; per altri l'eccezionale grandinata risponde ad un fenomeno celeste, e cioè il distacco di pezzi di ghiaccio da qualche cometa transitata vicino alla Terra. Altri ancora hanno invece parlato di blocchi di acqua ghiacciata proveniente dagli aeroplani in volo oppure dalla caduta di semplici meteoriti. Non potevano certo far mancare il loro contributo i cosiddetti "ufologi", sempre più alla ribalta sui media internazionali, che con malcelata preoccupazione hanno ravvisato un segnale di inimicizia verso gli abitanti del pianeta Terra da parte degli extraterrestri.
Il fatto curioso è che in presenza di fenomeni come questo, di certo fuori dall'ordinario, si possono scatenare ancora oggi, tra le popolazioni del 2000, facili allarmismi, strane ed ataviche paure di catastrofi bibliche, suggestioni e superstizioni di ogni tipo, quei comportamenti etici, insomma, che una civiltà matura come quella attuale dovrebbe avere ormai superato.
Un episodio abbastanza simile, verificatosi in Calabria più di quattrocento anni fa, testimonia come l'atteggiamento tenuto da alcuni contadini calabresi della fine del 1500 non è poi così diverso da quello di alcuni cittadini italiani e spagnoli che nel gennaio scorso hanno vissuto direttamente l'esperienza della caduta delle bombe di ghiaccio. L'aspetto emozionale, e, per così dire, "popolare", è pressoché uguale.
Il 10 gennaio 1583, nel territorio di Castrovillari, in provincia di Cosenza, in quella che all'epoca si chiamava Calabria Citra, si verificò un fenomeno naturale davvero imprevedibile, destinato a suscitare notevole interesse tra gli studiosi di scientia naturalis del tempo. Nei pressi della città del Pollino, precisamente sulla pianura sottostante il centro abitato di Morano, cadde giù dal cielo un' enorme pietra infuocata.
Il fatto provocò immediatamente lo stupore degli abitanti di quella che, a quei tempi, veniva chiamata "terra lucana", perché ancor prima della conquista dei romani il territorio in questione ricadeva sotto il dominio dei Lucani, estendendosi fino ai fiumi Sibaris e Laos.
Un'ampia e dettagliata relazione dell'eccezionale evento inviata per lettera a Napoli, presso Ferrante Carafa, marchese di S. Lucido, nella cui casa in quel tempo soggiornava Bernardino Telesio, nel pieno della sua attività di ricerca ed intento nella redazione dell'edificio finale del suo capolavoro, il De rerum natura.
Il contenuto di questa relazione è quanto mai interessante poiché rende l'idea del clamore, della meraviglia che la caduta dell'aerolito suscitava nell'animo dei contadini di quella zona. Chi scrive è un tale Conte de Haro:

All'Ill.mo signor Ferrante Carafa, Marchese di San Lucido.
Venendomi da V.S. Ill.ma commandato ch'io le faccia relatione del Fulmine o tuono, che fu alli X del presente in la Terra di Castrovillari, le dico che il detto giorno a X di Gennaro, che secondo il Calendario vecchio doveva essere il primo dell'anno et mese presente a'hore XVIIII, fu visto da infiniti contadini che stavano alla Campagna agli esercitii della Terra, et da molte altre persone degne di fede, che si trovorno in viaggio, et nelle Terre convicine di Cassano, di Morano, di Castrovillari, della Saracina et di Altomonte scendere dalla più alta parte dell'aria una cosa a' guisa di folgore con un bombo e tuono grande: il fulmine nel cadere stette da mezzo quarto d'hora in circa al giudicio di molti, et veniva cadendo facendo biscia nell'aria, in maniera tale che molti viandanti e genti, che si trovavano nella campagna, hebbero grandissimo timore che avesse a cadere sopra di loro; nell'aria mentre cadeva a' basso, dicono che rappresentava una nubbe oscura, che nella cima cacciasse fiamme di fuoco, e credo che il gran fumo, che portava seco rappresentasse la nubbe, et che la vehemenza del cadere, come in quel giorno era il cielo serenissimo facesse apparere le fiamme del fuoco; infine andò a cadere sopra Castrovillari, nel piano di sopra verso Morano, et proprio nella vigna di Giovanni Alfonso Cataldo; diede nel cadere sopra una pietra viva et grossa quanto non l'havessero levar da Terra duoi huomini, et la spezzò in mille pezzi, et da là poi venne a cadere sopra una miniera di pietra viva che in questo paese chiamano chiatra, et trovandosi pendente il fulmine trascorse da essi per trenta palmi in circa, finché trovò nel terreno, et con tutto ch'avesse trovato i detti impedimenti pur calò sotto terra tre palmi circa; un contadino che si trovò in detta vigna zappando, depone nella sua esamina, che dopo di essere stato per lungo spatio tramortito per paura, rihavutosi vide che nel luogo dove era caduto il fulmine n'usciva grandissimo fumo, che durò per spatio di due hore, et con tutto che li fosse venuta voglia vedere che cosa fusse, non si assicurò avvicinarsi al luogo, finché passando duoi pastori, datosi animo l'un con l'altro, di compagnia andorno a vedere quel ch'era; non trovorno altramente pertugio o buco, dove era caduto, perché il gran calore manteneva di maniera il terreno sollevato, che pareva piano; andò il primo contadino toccando con un bastone nel luogo dove havea visto uscire il fumo, che già era cessato, et nel toccare quella poca Terra, che stava sollevata et sustentata dal calore, ch'era uscito dal fulmine, svaporandosi ne cascò et apparse il metallo dal quale usciva puzza come il Solfore, et era ancora di maniera caldo, ch'à pena si poteva sustentare in mano. La forma è del modo che V.S. Ill.ma ha visto, che per la prova fattane appare ferro di fortissima tempera; la forma si ben alcuni la van raffigurando ad' una testa di montone. Io per me non li saprei dare altra similitudine che di un certo a corne, mame ne rimetto al prudente giudicio di V. S. Ill.ma. Fu preso da detto contadino e portato nella Terra di Castrovillare; del che avutone notizia il governatore di detta Terra me ne fu dato subito particulare avviso per correro a posta; ordinata che se ne fusse pigliata diligente informatione e idem mandatomi il metallo, et quello che l'haveva trovato, mi venne ogni cosa, et oltra dell'informatione dinuovo dal detto Contadino intesi distintamente quanto V. S. Ill.ma ha inteso. Il Tuono fu inteso sessanta miglia di lontano; il cadere del fulmine fu visto da una infinità di persone, che si trovorno in Campagna; e questo è quanto posso riferire a V. S. Ill.ma sopra questo fatto, non lasciando di dirle che con tutto che in apparenza il detto metallo non mostri pesare, mentre si reputerà per ferro, più di quindeci libre pesa non di meno libre trentatrè. (La lettera è riportata integralmente da L. De Franco in Bernardino Telesio: la vita e l'opera, Periferia, Cosenza, 1989, pp. 186-187).

La reazione di Telesio, di fronte alla lettera ricevuta per il tramite del Carafa, fu quella dello studioso talmente attento ai fenomeni fisici da non lasciarsi sfuggire nessuna occasione per la meditazione e la ricerca delle cause che li provocavano. Egli non riusciva a restare indifferente nei confronti dei misteri della natura e non lo fu neanche per il "fulmine" di Castrovillari.
La dinamica degli avvenimenti e le conseguenze che ne scaturirono lo incuriosirono e lo appassionarono a tal punto da scriverci sopra un'intera opera, il De fulmine quod lucanas in terras decidit.
Il filosofo cosentino non era per nulla d'accordo con quanti, avendo saputo dello strano fenomeno, sostenevano che il "fulmine" era stato generato dalla terra e su di essa, dopo una sorta di forte eruzione, era ricaduto. Poiché, egli diceva, se fosse stato generato in queste terre o fosse stato emesso dalle stesse terre squarciate dal fuoco, per nulla affatto lo squarciarsi della terra e ancor di meno la eruzione del fulmine sarebbero rimasti sconosciuti alle popolazioni che abitano vicino . Da scartare è inoltre l'ipotesi che sia stato eruttato dallo Stromboli, il vulcano più vicino alla Calabria, perché gli abitanti calabresi avrebbero avvertito i movimenti tipici dell'eruzione.
La verità, secondo Telesio, è che il calore del sole ha prodotto una sorta di "fuliggine", polvere sottile e leggera al massimo, che per la sua estrema sottigliezza ha raggiunto gli spazi alti del cielo, dove si è condensata in oggetti molto compatti, i quali, non riuscendo, per il loro peso, a restare sospesi in alto, sono caduti sulla terra.
E' chiaro che la ricostruzione fornita da Telesio non ha nulla a che vedere con quella che viene chiamata la scientificità dei procedimenti e delle dimostrazioni. Il nostro filosofo non poteva avere le conoscenze che si hanno oggi, e di conseguenza non era in grado di argomentare la sua tesi servendosi del rigore scientifico che è richiesto per l'interpretazione di fenomeni di tal genere.
Era troppo presto e bisognava che l'uomo attendesse ancora qualche secolo prima di sentirsi, finalmente, "dominatore" della natura.
Ai tempi di Telesio, però qualcosa incominciava a muoversi, e l'interpretazione del fulmine ne è una prova inconfutabile: il filosofo del Rinascimento iniziava a non accettare più in modo del tutto acritico ciò che avveniva intorno a lui. Il genio e la creatività erano posti in primo piano nell'indagine sulle cose del mondo e la natura veniva intesa come "vivente in sé", perdendo il senso della sua creaturalità.
L'autonomia di indagine, la libertas philosophandi riconosciutagli da Campanella, rappresenta il tratto più visibile del Telesio naturalista, facendo di lui quello che Bacone non ebbe alcuna difficoltà a definire, a ragione, come il primo degli uomini nuovi .



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