Il monaco Paolo Antonio Foscarini sostenitore del copernicanesimo in Calabria
di Spartaco Pupo
Questa fatica mia, credo, che non poco sarà grata à gli studiosi di queste Dottrine,
et in particolare alli Dottissimi Signor Galileo Galilei, e Signor Giovanni Kepplero,
questo Matematico della Sacra et Invitta Maestà dell'Imperatore, e quello del Serenissimo Gran Duca di Toscana, et à tutta la Illustre e virtuosissima Accademia de' Signori
Lincei, che universalmente (se non m'inganno) seguono questa opinione .
Inizia così la Lettera sopra l'opinione de' Pittegorici e del Copernico della mobilità
della Terra e stabilità del Sole e del nuovo Pittegorico sistema del Mondo, pubblicata
a Napoli, nel 1615, da Paolo Antonio Foscarini monaco carmelitano, nato a Montalto Uffugo, vicino Cosenza, intorno al 1580. Fine letterato e cultore di studi teologici,
Foscarini ricevette il prestigioso incarico di docente di Teologia alla Reale Università
di Messina. Niente di veramente significativo rimarrebbe da aggiungere nella sua biografia, se non avesse pensato di pubblicare quest'opera, che rimane l'unico scritto
di un teologo in difesa delle tesi copernicane sulla mobilità della Terra, al centro
del dibattito culturale tra i secoli XVI e XVII. Proprio per questa singolare caratteristica, la Lettera trovò il consenso di quelli che lui chiama "dottissimi signori"
del tempo, e con tutta probabilità piacque anche al conterraneo Tommaso Campanella,
a cui lo accomunavano la tonaca monacale e la coraggiosa apertura verso le nuove
idealità e le rivoluzionarie teorie sull'universo, anche se Campanella partiva da una visuale
diversa, certamente non teologica.
Il non azzardato accostamento tra i due intellettuali calabresi lo fece per la prima
volta il tipografo napoletano Scoriggio, che nel 1622 stampò l'Apologia pro Galileo,
del filosofo di Stilo. Nel saluto al lettore è scritto: E perché tu non creda che
tra i religiosi italiani questo autore soltanto [il riferimento è al Campanella] sia
di tale avviso aggiungi la lucida ed ampia lettera del maestro Paolo Antonio Foscarini
carmelitano, che discute l'opinione dei Pitagorici e di Copernico circa la mobilità
della terra e l'immobilità del sole (T. Campanella, Apologia di Galileo, a cura di L.
Firpo, Torino 1969, p. 30).
La Chiesa non gradì affatto l'opera. Nel 1616 la condannò "senza appello", mostrando
per questo una severità maggiore rispetto persino alla condanna inflitta a Copernico
ed Astunica, i quali furono destinatari solo di una sospensione, in attesa delle
correzioni necessarie da apportare ai libri sotto accusa.
Foscarini non era riuscito a mantenersi neutrale tra le opposte correnti di pensiero
dei copernicani e dei tolemaici, ma anche dei pitagorici e dei peripatetici, e neanche
la solo apparentemente serena defensio inviata al Cardinale Bellarmino, il più spregiudicato degli inquisitori ecclesiastici, dove diceva di voler vestire l'habito del
giudice, non [ ] quello della parte , riuscì a far cadere l'accusa rivoltagli: Volere
affermare che realmente il Sole stia nel centro del mondo [ ] è cosa molto pericolosa non solo d'irritare tutti i filosofi e theologi scholastici, ma anche da nuocere
alla Santa Fede con rendere false le Sacre Scritture (G. Galilei, Opere, a cura
di A. Favaro, Firenze 1890-1909, vol. XII, p.171).
Al Foscarini costò caro l'aver rinnovato e dalle tenebre dell'Oblivione ove era sepolta
tirata ora frescamente in luce , la teoria pitagorica dell'universo, secondo lui
poi posta in pratica dal Copernico (Lettera, pp. 7-8).
Per i pitagorici, quasi certamente per Filolao e Archita, l'universo si trova in un
vuoto infinito, al cui centro vi è non la Terra ma un fuoco, che è il fuoco originario
dell'universo stesso. Così Aristotele: Mentre i più dicono che la Terra è posta
al centro, i pitagorici dicono il contrario: dicono che nel centro c'è il fuoco, e che
la Terra, essendo uno degli astri, col muoversi intorno al centro produce la notte
e il giorno (R. Mondolfo, Il pensiero antico, La Nuova Italia, Firenze 1967, p.
38, citato da F. Restaino, in Storia della Filosofia, Utet, 1999, vol. I, p. 64).
Partendo dall'antica dottrina cosmologica dei pitagorici, Foscarini si pone il non
facile obiettivo di dimostrare che la trovata copernicana non è assolutamente contraddetta
dalle Sacre Scritture, dove secondo lui non è dato leggere alcuna affermazione di
condanna della mobilità della Terra rispetto al Sole. Anzi, precisa Foscarini, senza
dubbio Iddio havrà talmente dettate le parole della Scrittura Sacra, che possano
ricevere senso accomodo à quell'opinione e conciliamento con essa (Lettera, pp.
12-13). Se le tante belle cose che si sono scoperte grazie al trovato dell'Occhiale di Prospettiva
(il telescopio), prosegue, costituiscono una verità, poco importa che questa verità
contraddica à tutti i Filosofi e gli Astrologi del mondo, e che per seguirla e pratticarla s'habbia da fare una nuova Filosofia et Astrologia dipendente da i nuovi
principii et hipothesi, che questa pone (Lettera, p. 12). D'altra parte, se Aristotele
e gli altri filosofi antichi avessero visto et osservato quello che han visto et
osservato i Moderni, et avessero le loro ragioni intese, senza dubbio haverebbono
anco essi mutato parere e creduto alla evidentissima verità di questi; onde non bisogna
attribuire tanto à gli antichi, che tutto quello che essi affermarono, si habbia
come per pregiudicato à credere e tenere per certissimo, quasi fusse rivelato e disceso
da Cielo (Lettera, p. 7).
Non parla da scienziato Foscarini, non ne ha i mezzi, ma da teologo, fermo nell'intenzione
di dimostrare la non contraddittorietà della teoria della mobilità terrestre con
il dettato sacro, senza temerità ne ambitione ne vanagloria, ma charità e desiderio di giovar il prossimo con la investigatione e discussione della verità (Lettera,
p. 19).
Le argomentazioni addotte fanno leva su determinati principi (che lui chiama fondamenti)
che si richiamano alla sua personale interpretazione delle Sacre Scritture. Il primo
di questi principi è la dimostrazione di come alcune affermazioni contenute nella
Bibbia non devono essere prese alla lettera, perché possono essere state espresse
a seconda della capacità di apprendimento del volgo, quindi attraverso metafore,
esempi vari, che non servono ad altro se non ad offrire al volgo stesso un'idea,
un concetto di Dio. Ad esempio, spiega Foscarini, il brano in cui è scritto che Dio camminava
sulle acque deve essere letto come una metafora, cioè dal punto di vista dell'uomo,
il quale non riesce a dare agli altri esseri possibili, quindi anche a Dio, un'immagine
diversa da se stesso. Se si tiene ben presente questo, conclude Foscarini, non è difficile
rendersi conto di come si dicono cose disconvenienti all'esser reale di quei corpi
celesti (Lettera, p. 25)..