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Gianni Amelio, quattro elefanti e una Seicento


All'on. Rosario Olivo

Carissimo, avrai visto certamente "Così ridevano" di Gianni Amelio, e ti sarai confermato nella convinzione della bontà di quella proposta tua e di altri, che sia conferita la cittadinanza onoraria catanzarese all'illustre regista. Se a legittimare la cosa non ci fosse già tutto il resto di una prestigiosa carriera, basterebbe adesso il Leone d'oro al dialetto di Catanzaro e provincia a vincere le ultime inerzie. E sarebbe sufficiente ricordare che tutte e sei le date, relative ai sei episodi di cui consta Così ridevano, concernono la vita di Amelio anzitutto in Calabria, a Catanzaro: il 20 gennaio 1958 (Arrivi), il 7 febbraio 1959 (Inganni), il 10 ottobre 1960 (Soldi), il 7 aprile 1961 (Lettere), il 29 giugno 1962 (Sangue), il 5 luglio 1964 (Famiglie)...
Come se, in altri termini, la data e il luogo di nascita effettivi di Amelio Giovanni non fossero tanto il 20 gennaio 1944 a Magisano, ma piuttosto i giorni catanzaresi del ritorno del padre emigrante dal Sud America e della nascita del primo fratello, i giorni dell'inizio del liceo e della memorizzazione indelebile del Visconti di Rocco (e di Ciro e Luca ed altri congiunti): i giorni, insomma, delle ultime esperienze di Gianni scolaro e quelli delle prime di Amelio insegnante; ed i giorni del 1963 - non recensiti in Così ridevano, ma arricchiti allora dai primissimi sguardi con la macchina da presa sullo Jonio di Copanello o sotto il Viadotto alle porte della Città, alla vigilia dell'approdo a Roma e sul set del desettiano Un uomo a metà. Ma ci stanno tante altre esperienze formative, genetiche, tutte catanzaresi, dal '58 al '64, che si riversano adesso nell'opera più recente di Amelio, e che codificano per così dire il senso ed il valore di una catanzaresità a tutti gli effetti, e non solo onoraria, all'artista cittadino del mondo - ma con radici culturali e morali precise. Tra noi.
A parte le esplicite dichiarazioni di Gianni sulla Calabria, su Catanzaro luogo di partenza dei suoi film, sempre , dovremmo fare tuttavia uno sforzo ulteriore. Ed intanto, restando a Così ridevano, avviare una riflessione da Catanzaro, da qui specialmente, sulla cittadinanza poetica (se così posso esprimermi) del film. Che voglio dire? Questo, per sommi capi: che la Catanzaro di Amelio è nella filigrana di tutta l'opera, ben al di là dell'immediatezza del suo trasparire nominale, conclamato, evidente. La Città, in Così ridevano, è per esempio nella cesta, nella sporta che Giovanni (il fratello maggiore) si trascina per le scale appena arrivato a Torino, cercando Pietro (l'altro protagonista della storia). Quel tipo di cesta l'avevamo veduta, le ultime volte, scendere e salire dagli autobus di Nicoletti o della Calabro-Lucana, ovvero dai tettucci stracarichi dei tassì di paese, strazeppi di cristiani in Piazza San Giovanni o nei pressi del Tribunale. Ancora, è a Catanzaro che io avevo già visto quel numero di Mascotte di Pietro, e ho ritrovato Catanzaro sul volto, nelle parole e nei movimenti danzerini del giovanotto bilingue (torinese e catanzarese appunto), che dà una mano a Giovanni per sbrigarsela con il caporalato mafioso o con i professori del fratello. La ho intravista, la nostra città, mentre lo stesso Giovanni Scordia eseguiva il melodrammatico assolo della carta geografica: spiaccicando con la mano la sua terra d'origine, la Sicilia, e cercando la nuova patria, Torino; e traducendo, in quel rapido gesto, una situazione autobiografica ameliana nota, in cui per altro potremmo riconoscerci in tanti, catanzaresi e non. Ma non c'è pure una certa Catanzaro, il "Galluppi", in quella scuola, tra le allieve e gli allievi intenti nel compito in classe? E l'ultimo banco, dove Pietro naviga sul suo mare verde e magari vola vola in un cielo "dipinto di blu", non è proprio l'ultima spiaggia libera, e la più lontana dai lidi e dai pascoli già catanzaresi dei pascoliani professori torinesi di Così ridevano? Ed infine: c'è di certo - e come se c'è! - un rapporto tra il Giovanni fratello e padre, a Torino, e la Città madre e nonna, assai prima, Catanzaro. La Catanzaro che riascolti in certi dialoghi: nel Sei contento? Lo so che sei contento - E tu sei contento? . Ma assai di più, la Città la ritrovi nella duplice situazione del film, all'inizio e alla fine, in cui si recita quell'antica, nostra, indimenticabile barzelletta: Come fanno, quattro elefanti, a stare in una Seicento? . Ma guai a rivelare la risposta, rovineremmo ogni cosa.
Servirà tuttavia spiegarla, questa barzelletta, in Così ridevano. Varrà la pena di farlo, dall'interno di tutto il film e del complesso dei suoi significati. Sarà necessario, per intendere meglio i meccanismi della "magnifica ossessione", dello sproporzionato affetto fraterno che lega Giovanni e Pietro, sia unilateralmente sia reciprocamente. E dovremo spiegare anzitutto a Catanzaro, tra concittadini, com'è che Così ridevano continui in primo luogo la ricerca iniziata da Amelio in La fine del gioco /1970 (film ipercatenzarese), e com'è che l'opera si ricolleghi per esplicito ad un po' tutta la produzione ameliana precedente ed in particolare a Il piccolo Archimede/1979 e a Colpire al cuore/1982: ma sono evidenti, da un lato i puntuali richiami a I velieri/1983, a I ragazzi di via Panisperna/1988, a Porte aperte/1990, da un altro lato la funzione specifica di Così ridevano nel quadro di una sostenibile trilogia con Il ladro di bambini/1992 e con Lamerica/1994. Tutti film sulla Calabria, su Catanzaro, anche se non appare. Ma appare, appare, e come se appare.
Perché, caro Rosario, se la tua idea di dare la cittadinanza onoraria catanzarese ad Amelio si giustifica certo a più livelli di opportunità, rimane la necessità di capire per quante strade, e quali, Catanzaro, la Calabria, abbiano da sempre la cittadinanza effettiva nel cinema di Gianni Amelio... Insomma, visto che gli elefanti nella Seicento ci stanno già, basta osservarli: si erano messi da soli, due avanti e due dietro. Da bravi, anche se stretti,
affettuosamente
Nicola Siciliani De Cumis



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