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La spesa per la ricerca al Sud: "carta canta"

di Luigi Chiarello


Il 23 febbraio scorso, nella Città della Scienza, a Bagnoli (Napoli), si è tenuto un convegno dal tema: La Formazione e la Ricerca per lo Sviluppo del Mezzogiorno , organizzata dal Dipartimento " Politiche per il Mezzogiorno" della Cgil e dalla Cgilfr (Federazione formazione-ricerca).
La relazione di Mimmo Rizzuti, segretario nazionale Snur/Cgil, offre notevoli spunti di riflessione.
L'Italia spende in R&S (Ricerca e Sviluppo) l'1,3% del Pil. Di questo (in realtà poco più di un terzo di quanto spendano i concorrenti più diretti), l'87% è localizzato nel Centro-Nord ed il 13% nel Sud. Il personale addetto alle attività di ricerca è corrispondente al 2,7% per ogni 100.000 unità di forza lavoro, contro il 4,9% della media Ocse.
Continuando nella lettura dei dati si riscontrano, su un campione di 100.000 abitanti, 243 ricercatori, di cui 208 nel Centro-Nord e solo 33 nel Sud.
In termini relativi, per quel che concerne il personale addetto alla ricerca il rapporto Centro-Nord/Mezzogiorno è di 7 a 1, quello fra Campania e Calabria di 6 a 2, quello fra Centro-Nord e Calabria di ben 24 a 1.
Un dato poi fortemente rilevante è la spesa per R&S nel settore privato, essa è effettuata dalle imprese per il 97% nel Centro-Nord e solo per il 5% nel Sud.
Proporzione analoga si riscontra nell'impiego di personale, che su 100 addetti vede impegnati 96 ricercatori nel Centro-Nord e solo 4 nel Mezzogiorno.
Tra tanti segnali di tipo negativo che caratterizzano il sistema meridionale, uno importantissimo, riguardante la qualità, emerge specie in riferimento alla produttività della ricerca scientifica; stando ai dati del 1990, ogni organismo pubblico di ricerca produce una media di 16 pubblicazioni l'anno.
Il professor Luigi Rossi Bernardi, mentre era presidente del Cnr, rilevava come i ricercatori che operavano nelle regioni meridionali producessero, nel settore della ricerca scientifica di base, pubblicazioni pari al 14% del totale in Italia. Considerando che il numero di ricercatori nel Mezzogiorno è pari al 7% del totale, ne risulta che, almeno nel settore scientifico, la produttività del Mezzogiorno è superiore a quella del Centro-Nord.
Tralasciando la natura dei processi che hanno portato a questa situazione, si pongono comunque questioni nodali relative al tempo di esecuzione degli interventi, alla correlazione di questi ultimi con i processi di riforma in atto e le realtà territoriali. Purtroppo la variabile "tempo" nel Meridione è fondamentale, anzi oserei dire, estremamente vincolante, specie nel campo della ricerca.
Notava alla fine degli anni '80, l'allora ministro Ruperti, che se, ad esempio, si volesse pervenire dall'allora 1,45% (1,30 Ocse) del Pil al 2,5% o 3% in 10 anni, occorrerebbe un aumento delle risorse destinate alla ricerca rispettivamente del 5,6 % e del 7,5% l'anno in termini reali.
Se su questa ipotesi si volesse passare dall'attuale ripartizione 87% al Centro-Nord, 13% al Sud, ad una più perequativa del 70-30%, occorrerebbe concentrare al Sud tutto l'incremento di risorse; più precisamente l'incremento dovrebbe essere pari al 4% nel Centro-Nord e al 22% nel Sud. Rilevava inoltre: la scarsa presenza di progetti in alcuni settori strategici della ricerca; la scarsa incidenza di materie di forte interesse locale come le scienze agrarie e le scienze della terra; la mancanza di cooperazione scientifica tra università del Mezzogiorno e soggetti locali, nazionali o internazionali; la scarsa concentrazione di risorse da parte degli atenei meridionali verso temi di ricerca in grado di caratterizzare fortemente le varie università; lo scarso numero di strumenti di formazione per i giovani ricercatori e i tecnici addetti alla ricerca; la scarsa dotazione infrastrutturale delle università; l'esistenza di forti squilibri fra gli atenei all'interno dell'area meridionale che interessano gli strumenti, le risorse e l'organizzazione delle attività didattiche e scientifiche; in ultimo, ma non d'importanza, il pendolarismo del corpo docente, eccessivo, concentrato in alcune aree del Mezzogiorno.
Appare dunque lampante che qualunque tipo di intervento per stravolgere la tendenza nel Mezzogiorno ha bisogno di ingenti risorse che vanno messe subito in campo.



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