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Deserto e disertori: la letteratura calabrese fuori di sé

di Renato Nistico'


Mentre nella società imperano i modelli del capitalismo globalizzante, il Sud, nella sua doppia valenza di territorio geopolitico e di 'categoria' culturale, sembra resistere all'interno dell'immaginario collettivo nella forma di un esotismo discreto, più o meno alternativo, e più o meno integrato. Se la vita si fa frenetica, ecco che spunta la "lentezza" di Cassano; se si allentano i vincoli parentali e si attenuano le identità comunitarie, ecco la sacralità affettiva, il culto dei morti nelle comunità meridionali ricordati da Alcaro; e se il manager cura il suo stress da prestazione con la meditazione yoga o la religione "new age", gli si affianca, a livello popolare, la "pizzica" terapeutica salentina. Giovanna De Angelis, che ha curato lo scorso anno per Einaudi Disertori, un'antologia di nuovi narratori meridionali, è sicura di potere dar voce a una letteratura nuova, lontana dagli stereotipi di un "Meridione assolutizzato in un folklore senza tempo". Non sarà qui fuor di luogo ricordare che lo scrittore di gran lunga più letto oggi in Italia è il siciliano Andrea Camilleri; il quale non lesina dialettismi nella sua prosa, facendosi artefice di una sorta di 'raffinata regionalità', italiana e locale quanto basta per guadagnarsi il mercato nazionale. Infine, dentro e fuori dai patrii confini, il Sud, finanche nella considerazione degli esperti del settore, conserva lo status di ultima riserva della letteratura autentica, l'unica in grado di esprimere qualcosa, in riferimento al mondo e all'esperienza, e di resistere alle poetiche auto- e metareferenziali trionfanti nella letteratura delle società opulente. Questo è anche il parere di Filippo La Porta in Narratori di un sud disperso, e di Goffredo Fofi, curatore dell'antologia Luna nuova. Se tutto questo è vero, come mai oggi in Italia è impossibile parlare di una letteratura 'meridionalistica', nonostante molti dei termini di quella che fu un tempo la "questione" nazionale per eccellenza si conservino intatti? In particolare, dal nostro specifico punto d'osservazione: perché la Calabria non ha più scrittori? Fino a mezzo secolo fa, sto parlando del secondo dopoguerra, la Calabria disponeva di un piccolo drappello di artisti precisamente collocati nel panorama nazionale: Alvaro, La Cava, Seminara, Repaci. Subito dopo sarebbero venuti Strati e Altomonte, mentre in poesia si verificava il piccolo 'miracolo' europeo di Lorenzo Calogero. Oggi, di scrittori calabresi (che scrivono, cioè, la Calabria), non si vede in giro praticamente nessuno, se si eccettua Carmine Abate, il quale però deve gran parte della sua fortuna artistica proprio a una specifica, tutta sua, triangolazione etnico-territoriale, in cui la Calabria assume la dimensione del transito fra la favolosa Albania di Skanderbeg (mitologia delle origini) e la Germania del benessere (realtà del presente). Come mai? Cosa è successo nel frattempo? Forse è bene fare un passo indietro e riassumere per sommi capi, come può essere fatto in un articolo, gli eventi che hanno caratterizzato mezzo secolo di storia in rapporto alle cose della letteratura.
Il 1956 è una data storica, eletta da due nostri importanti critici, Remo Ceserani e Romano Luperini, come il limite di una svolta epocale nella produzione culturale italiana e non solo, che separa il moderno dal postmoderno. Fatti d'Ungheria, crisi del 'socialismo reale', boom economico, televisione, estetizzazione di massa, caratterizzano la nuova epoca, nella quale si registra una vera e propria mutazione antropologica: cambia il paesaggio, il modo di produzione, i nostri stili di vita, la nostra stessa conformazione biologica. Poteva non cambiare la letteratura? E infatti ecco che spuntano lo sperimentalismo, le neovanguardie, l'OULIPO, etc.. Il 1956 è anche l'anno in cui muore Corrado Alvaro, e si tratta sicuramente di una morte simbolica. Fino a quel momento era esistito un raccordo preciso fra la vita culturale nazionale e quella regionale, proprio perché fra centro e periferia si davano delle marcate differenze culturali e antropologiche. Dentro tale cornice, ad Alvaro era toccato il compito storico di fondare la letteratura calabrese, come momento sintetico fra la vita delle metropoli (centro, modernità) e quella delle campagne (periferia, tradizione, arcaismo). Era arrivato a rappresentare, con L'uomo è forte, prima del 1984 di Orwell, l'alienazione della vita massificata, il rischio del totalitarismo tecnocratico nel cuore dell'Europa; mentre alla sua terra d'origine riservava la dimensione della favola, del mito, il culto dell'ancestralità resa secondo i dettami del 'realismo lirico', come in Gente d'Aspromonte. Le differenze fra i due momenti giustificavano e rendevano efficace il compromesso alvariano. Gli scrittori calabresi che raccolsero l'eredità dello scrittore di San Luca, vedevano la situazione cambiare; e sostituirono alla tradizionale ispirazione realistico-agreste, discendente dal romanticismo naturalistico di Vincenzo Padula e dai prototipi verghiani, i primi germi di una evoluzione borghese della letteratura. La Cava era avvantaggiato, in questo. Aveva provveduto a fondare gli archetipi di una letteratura borghese, a base regionale ma di interesse nazionale, sin dagli anni Trenta, con i suoi Caratteri, un libro molto più italiano di qualsiasi altro di Alvaro, sebbene scritto prevalentemente tramite l'osservazione di materiale umano della sua Bovalino. Seminara con Il vento nell'uliveto e Diario di Laura, sviluppava le premesse veristiche e neorealiste, coglieva le trasformazioni sociali in atto, rappresentava non più il diseredato ma il proprietario, non più solo la campagna, ma la città con le sue perversioni e la sua libertà sessuale. Si affacciava il disagio esistenziale, l'alienazione, in pratica tutto ciò che caratterizzava la vita moderna, anche dentro i confini della nostra regione; pur con uno svantaggio di circa mezzo secolo nei confronti della vita nazionale, se solo si pensa a Svevo, Tozzi, Moravia, etc. Sarebbe stato, sin da allora, un ritardo caratterizzante. Il gap di moderno segnerà, da quel momento, la produzione letteraria e artistica, soprattutto nella sua dimensione diffusa, riguardante cioè gli standard, non le vette della produzione artistica, senza che la cultura critica, oppositiva (l'esistenzialismo francese, il teatro epico, lo strutturalismo antropologico, il gruppo '47, l'école du regard, lo sperimentalismo neoavanguardistico, etc.), riesca a scalfire, dal punto di vista della stile, della lingua e dei contenuti, la deriva regionalistica, a questo punto attardata, della letteratura calabrese. Strati, l'ultimo grande scrittore calabrese vivente, esordisce, mi pare, nello stesso anno della morte di Alvaro. Rispetto al padre della letteratura calabrese, dal quale tutti prendono le mosse, opera quello che Bloom ha definito il clinamen, la deviazione che caratterizza i rapporti fra modelli ed epigoni letterari. Si affida con scrupolosa coerenza a un realismo affondato negli strati più bassi della popolazione calabrese, attento soprattutto alle tematiche dell'emigrazione, che tavolta riguardano però anche ambienti borghesi e intellettuali. Non possiede tuttavia né la brillantezza né la originale cifra estetica dei suoi predecessori: specchio dei tempi. Si avverte che, dal punto di vista storico, è una figura di transito, ma transito verso cosa? Après lui, le déluge, si direbbe. In germe, la sua opera contiene la grande trasformazione cui stiamo assistendo. Egli si è fatto cronista del momento in cui l'emigrazione, da fenomeno sociale, dettato da necessità di tipo economico, si fa scelta esistenziale. Sottoposta a quella che è stata definita la "modernizzazione forzata", la Calabria si presenta ora non più come un territorio con caratteri culturali e antropologici fondamentalmente differenti rispetto ad altri; essa si caratterizza piuttosto come una sorta di degradata periferia di un centro, del quale esibisce le stesse caratteristiche di fondo, solo più sbiadite e corrotte, indirette e contaminate. È come se, parlando di centro e periferia, ci riferissimo a un'unica grande città; come i se i due ambienti prima assiologicamente separati, ora vivessere insieme dislocati dentro lo stesso conglomerato urbano; un po' come l'antropologia borgatara pasoliniana sullo sfondo dei palazzoni borghesi.
Da tempo, ormai, i mezzi di comunicazione di massa hanno uniformato valori e comportamenti, richiedono partecipazione e visibilità. I giovani intellettuali, gli artisti promettenti, fuggendo la noia o il ricatto dell'impegno nei luoghi nativi, raggiungono le città sedi universitarie o di produzione editoriale e radiotelevisiva, per rimanervi; se hanno particolare intraprendenza e fortuna vanno all'estero. Questa situazione impone allo storico di far entrare in campo elementi diversi rispetto a quelli considerati precedentemente. Da una parte, occorre acclarare che è definitivamente tramontata l'ipotesi di una vitalità dell'ispirazione regionale a base 'realistica' o, peggio, 'meridionalistica' (con tutte quello che ne conseguiva e ancora ne consegue nei termini della orgogliosa e insieme dolente esibizione della 'calabresità'). Per intenderci, non esistono sul mercato nazionale valori estetici, colori locali specificamente 'calabresi', (se per Calabria intendiamo una realtà separata da quella civile e spirituale del paese di cui fa parte) mentre con Alvaro, Strati e, in parte, anche con La Cava, ciò era ancora possibile. D'altra parte bisogna ammettere invece allo stato di scrittori della regione (non riduttivamente regionali, cioè) una serie di autori che non affrontano più una tematica specificamente regionalistica, ma che calabresi sono, e intrattengono a vario titolo rapporti affettivi e culturali con la terra d'origine, e per i quali in molti casi, azzardando un po', si può provare a riconoscere nelle relative poetiche un fondo di queste problematiche. Per questi motivi, quando mi sono occupato di letteratura calabrese contemporanea, ad esempio in un contributo alla Storia della Calabria edita da Gangemi, ho parlato di Alfonso Leonetti, di Mario Fortunato, di Rocco Carbone, di Gregorio Scalise, etc., che da anni vivono lontani. Subentra dunque una nuova specificità regionale, che sostituisce o affianca la vecchia. Molto sintetizzandone i caratteri, potremmo dire che se prima la letteratura calabrese si caratterizzava per la 'località' e la 'presenza', oggi i suoi tratti distintivi sono la 'dislocazione' e l''assenza'. La 'Calabria in idea', per parafrasare una fortunata espressione di Augusto Placanica, è oggi dal punto di vista letterario e forse non solo, una regione che manca alla propria coscienza (cosa dalla quale discendono sia il vuoto quanto la ricerca di identità), e che dunque, non riuscendo a riconoscersi nello specchio del proprio territorio, si dis-loca su uno spazio molto più vasto, proiettandosi al di fuori dei propri confini. Non diversamente dalla Calabria si sono strutturate tutte quelle culture locali appartenenti alla "frontiera mobile" che ha variamente attraversato l'Europa, e di cui ha parlato Claudio Magris.
Qualcosa sfugge ancora a questo quadro. È stata osservata infatti negli ultimi anni la tendenza delle giovani generazioni meridionali a trattenersi nei luoghi di origine in misura maggiore rispetto alle generazioni precedenti. La metropoli, e il Settentrione d'Italia, 'tirano' ancora, ma c'è chi prova ad essere moderno in casa sua (non dovrebbe essere questa la disposizione spirituale degli studenti che si fermano negli atenei locali?). I valori e i linguaggi espressivi vengono condivisi, anche se vissuti in contesti diversi, con i giovani del cosiddetto 'centro'. Gli spostamenti sono più rapidi, i contatti si moltiplicano, viviamo nell'epoca della globalizzazione informatica, della comunità virtuale. Se tutto questo è vero (e in una certa misura è innegabile che lo sia), come mai, in letteratura, non vi corrisponde una fioritura di nuovi autori locali? Beh, la causa prima, credo che sia anzitutto da ricercare nella caduta di prestigio, di tensione oserei dire erotica, della letteratura in quanto tale, che tiene dietro a una caduta di tensione ideale, di slancio verso la ricerca etico-politica del nuovo, etc.. Mi pare infatti che dal punto di vista musicale o cinematografico, quest'ultimo in particolare, le cose non stiano affatto come si è detto per la letteratura. Si prenda l'opera di due eccellenti registi come Gianni Amelio e Mimmo Calopresti, che suppliscono al vuoto di narratori della Calabria contemporanea, ma secondo una loro giusta pretesa universalizzante. Si potrebbe dire che sono proprio loro gli scrittori mancati alla Calabria dopo Strati: Il ladro di bambini e Preferisco il rumore del mare sono i due grandi "romanzi" della Calabria contemporanea che i letterati non hanno saputo scrivere. E possiamo aggiungerci anche, se vogliamo, Così ridevano e La seconda volta, proprio per la loro ambientazione nella 'meridionale' Torino, un vero e proprio non-luogo, per dirla alla Augé, dei calabresi trasmigranti. L'impegno artistico, la voglia di dire delle cose nuove, e la tensione a dare sfogo al narcisismo creativo, vengono canalizzati verso il cinema, l'audiovideo, la musica, il teatro: si prenda il bell'esempio di Kripton, il gruppo multimediale di Giancarlo Cauteruccio che opera a Firenze, la cui rivisitazione calabrese di Beckett meriterebbe un paragrafo a parte. Ci sono però motivazioni più specifiche, legate ai caratteri ambientali e culturali di scala locale. Non è possibile non registrare infatti, nel corpo della 'società letteraria' regionale la resistenza di estese sacche di provincialismo, conservazione, clientelismo (ebbene sì, c'è anche un clientelismo editoriale), chiusura ai linguaggi e alle tematiche nuove, tutti grosso modo facenti capo a quella connotazione meridionalistica, di retroguardia, di cui si diceva sopra. Vorrei fare, come non si dovrebbe mai in questi casi, un esempio personale, deontologically incorrect. Ormai più di vent'anni fa, quando ero ancora studente al primo anno dell'Università della Calabria, scrissi un romanzetto satirico dal linguaggio piuttosto innovativo a quei tempi (non era ancora venuta fuori neanche Silvia Ballestra), e dai contenuti forse vivi ancora (era la storia di un lupo mannaro, che rendeva problematica la vita degli studenti nel campus di Arcavacata). All'epoca l'Arcavacante, questo il titolo del romanzo, dovette rimanere nel cassetto, per l'insipienza degli editori locali. Oggi è forse troppo tardi per pubblicarlo, nonostante gli apprezzamenti degli editors e dei lettori professionali di case prestigiose. Racconto questo episodio perché credo che la mancata pubblicazione dell'Arcavacante sia un episodio di rimozione culturale e auto-censura riguardante l'immaginario dell'intera comunità regionale, non semplicemente un mio caso personale. Mi sono sempre chiesto infatti, quanti altri episodi simili possano essersi verificati in questi anni, considerato che la situazione non è poi molto mutata, nel campo delle istituzioni preposte allo sviluppo e alla diffusione della letteratura: i circoli culturali, le case editrici, gli organi di informazione (tranne che nelle solite, lodevoli eccezioni, com'è ovvio). Mi convinco sempre di più di una tale eventualità, perché qualche segnale di una sotterranea ma non ancora emergente creatività letteraria, si è manifestato in questi ultimi anni. Potrei parlare, per fare un solo esempio, del romanzo Il tempo di una bic di Leonardo Staglianò edito nel 1999 da Monteleone, l'unico caso (a quel che so) di opera letteraria con qualche dote letteraria e certa grazia nello stile, di ambiente calabrese, riguardante il mondo giovanile, mai apparsa negli ultimi anni. Non è un caso, che sia uscito per la sensibilità culturale e l'intelligenza da talent scout di Nicola Merola che, benché romano, insegna da ventanni all'Università della Calabria, e opera dunque extra moenia. Da quanto detto, dovrebbe risultare chiaro che le chances per una letteratura calabrese dai caratteri nuovi, ci sono. In fondo, l''esotismo calabrese', cioè la condizione di eccentricità rispetto ai modelli globalizzanti e centripeti che governano la nostra vita sociale, potrebbe fornire risultati forse sorprendenti, se fosse coniugato a una più generale sensiblerie postmoderna, conscia della dialettica locale-globale, particolare-universale.



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