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Scenari del 2000

di Mimmo Rizzuti



Il 2000, per lungo tempo sinonimo di futuro, rappresenta ormai il nostro presente.
Un presente i cui tratti salienti sono costituiti dal coinvolgimento di tutti gli Stati nella grande dinamica di una globalizzazione, che in maniera ancor più assolutizzante dell'analogo processo avviato nella metà dell'800, con l'apertura della Cina, dell'impero Ottomano e la spartizione dell'Africa a partire dal 1885, raggiunge ogni angolo del pianeta, ignorando sia la diversità dei regimi politici che l'indipendenza dei popoli.
Siamo già immersi in quella che ormai viene definita una seconda grande rivoluzione capitalistica che apre per l'intero Pianeta una nuova era di conquiste di cui sono protagonisti non più gli Stati ma le imprese, i gruppi industriali e finanziari privati, collocati per il 50% negli Usa e per restante parte in Europa e Giappone, che si pongono come i dominatori assoluti del mondo. Le rivoluzioni tecnologiche e dell'informazione dell'ultima parte del '900 hanno impresso una poderosa accelerazione ai percorsi di concentrazione del capitale, che si appresta a chiudere i processi di privatizzazione con la brevettazione del genoma umano e della materia vivente. Si prepara così alla conquista di tutto ciò che attiene alla vita ed alla natura, lasciando sempre più chiaramente intravedere la possibilità dell'avvento di un potere e di un dominio assoluto di natura e dimensioni finora sconosciute.
Un potere che mira a conquistare non territori, ma mercati e ricchezze con una inedita capacità di penetrazione. Questa conquista per la sua stessa natura e dimensione si accompagna a grandi distruzioni, a sofferenze sociali di massa, a super sfruttamento di uomini, donne e bambini, a saccheggi ambientali dai quali trae risorse smisurate. Mercifica menti, cultura, corpi e natura. Genera enormi disuguaglianze. Spazza via strutture statuali e sociali, dissolve quello che Marco Revelli definisce "lo spazio pubblico", "cioè quel luogo immaginario ma realissimo nel quale fino ad ieri, le figure sociali, gli interessi, i soggetti, si riconoscevano nella loro dimensione collettiva, elaboravano una propria identità e autoconsapevolezza e su questa base si confrontavano e si scontravano per ottenere riconoscimento e per imporre soluzioni normative ed impegnative per tutti. Quel luogo, in sostanza, che aveva costituito la precondizione di esistenza della politica moderna, e nel quale si erano dispiegati il moderno conflitto sociale e le moderne forme di democrazia, formatesi nel corso dei quattro secoli che racchiudono la parabola della modernità (dall'inizio del XVI secolo alla fine del XX)".
In questo quadro, com'è stato efficacemente scritto da Ignacio Ramonet sull'ultimo numero di le Monde Didplomatique, "si sviluppano zone di diritto, entità caotiche ed ingovernabili, che sfuggono ad ogni legame per sprofondare in uno stato di barbarie, dove soltanto gruppi di saccheggiatori sono in grado di imporre la loro legge depredando la popolazione civile. Appaiono pericoli di nuovo tipo: crimine organizzato e reti mafiose (di nuova dimensione), speculazione finanziaria, nuova corruzione, nuove pandemie, forme virulente di inquinamento, fanatismi religiosi o etnici, effetto serra, desertificazione". E, paradossalmente mentre sembrano trionfare la democrazia e la libertà sui regimi autoritari si affermano nuove forme di censura e di oppressione, mentre nuove forme di alienazione sono alimentate dalla comunicazione planetaria le cui tecnologie assumono ruolo, funzioni e connotazioni sempre più ideologiche.
A fronte di uno scenario del genere, che è altro da quello, esaltante, proposto dalle duecento megasocietà detentrici del potere mondiale in tutto lo spettro delle attività umane, magnificato dalla comunicazione globale ed i cui effetti negativi si scaricano su oltre l'80% della popolazione del pianeta, sembrerebbe impossibile attuare qualsiasi resistenza e tentativo di modifica della natura e governo dei processi. Ma così non è. E lo ha mostrato per ultimo ed in maniera efficace ed appariscente, la grande mobilitazione contro i nuovi poteri organizzata in occasione del recente vertice dell'organizzazione mondiale del commercio a Seattle. Si cominciano a mostrare le prime crepe nelle granitiche certezze del "pensiero unico" e si delineano a fatica e con mille difficoltà ed incertezze altri percorsi e spazi d'intervento e azione. Ed in questi spazi penso sia utile collocare le proposte ed iniziative che potrebbero assumere, in uno spazio ed in una realtà definita, anche nel quadro di politiche ufficiali nel nostro Paese e nell'Europa, una funzione importante, specie in un settore strategico quale quello dell'alta formazione e della produzione di conoscenze. Ma ciò è possibile, se si rompe con l'accettazione deterministica ed acritica di questa realtà, come l'unica possibile e immodificabile.
Gli spazi per l'Europa e le sue organizzazioni sociali
Se lo scenario sopra abbozzato corrisponde alla realtà, ed io ritengo di sì, è all'interno di esso che occorre collocare le politiche concrete dei singoli Paesi dell'Unione Europea a cominciare da quelle che hanno un respiro e una valenza continentale e recuperare da parte delle grandi organizzazioni sociali del vecchio continente una forte autonomia di proposta e d'iniziativa. Ed anche qui il modo in cui lo stesso sindacato americano ha contribuito alla realizzazione della mobilitazione di Seattle all'interno di una galassia di organizzazioni ed associazioni con obiettivi, culture e storie differenti, mostra che è possibile riprendere nel mondo un cammino in cui il lavoro, le classi sociali subalterne, gli strati sociali ed i popoli che subiscono quotidianamente gli effetti negativi della globalizzazione, possono recuperare un nuovo ed incisivo protagonismo, contenere il dominio assoluto ed univoco del grande capitale globalizzato e contribuire alla realizzazione di un diverso e migliore equilibrio mondiale. Uno spazio di grande significato e valenza strategica ce l'hanno, in queste nuovo scenario di inizio secolo, i lavoratori della conoscenza e le loro organizzioni. E' del tutto evidente, infatti, che la qualità e la natura delle loro proposte, se collocate in un quadro d'iniziativa autonoma, può risultare determinante nei confronti e negli scontri già aperti in questa nuova era. Per quanto ci riguarda e coinvolge più direttamente, io credo che partendo dalle vicende del nostro Paese e del nostro Continente, nel quadro dell'iniziativa di una grande organizzazione come la Cgil, si possa aprire per il nostro Sindacato uno spazio d'intervento enorme ed inedito. Come in tale spazio ci collocheremo dipenderà in primo luogo da noi, dalla qualità della nostra proposta, dalla autonomia della nostra iniziativa.



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