di Alessandro Russo
Enzo Toraldo era tra i pittori calabresi del '900 uno dei più sensibili ed affascinanti.
E' morto il 10 novembre, dopo una grave malattia, lasciando ai famigliari ed agli
amici un vuoto incolmabile.
Ci ha lasciati quando era nel pieno della sua sensibilità creativa. Ha vissuto una
vita difficile e tormentata, e nello stesso tempo ricca e coraggiosa, volta sempre
alla ricerca artistica che non ha mai interrotto.
Solo negli ultimi anni aveva raggiunto una sufficiente tranquillità economica che
lo aveva spinto verso una produzione artistica sempre più bella e stimolante, piena
di una tensione emozionale, gradevole e raffinata.
Le sue iconografie cariche di dolce e delicata tristezza continueranno a vivere ed
a stimolare con garbata invadenza il nostro immaginario; i ritratti di Elvira, i
Pierrot, le sfumatissime e poetiche vedute veneziane, la vecchia Catanzaro, le marine
ioniche, le composizioni post-cubiste, i contrabbassisti, i fiori, il cinque, le atmosfere
colorate dai toni ammiccanti, le equilibrate opere trasognate e visionarie, insomma
una gamma di invenzioni linguistiche che hanno fatto del nostro un artista amatissimo
e partecipe, discusso senza mai sollevare riserve.
Ha scritto una delle pagine più belle e poetiche della nostra cultura visiva, illudendoci
con garbo e maestria e facendoci vedere quello che di solito immaginiamo.
Ha dato alla nostra realtà di cittadini periferici l'illusione di vivere una condizione
meno piccola e provinciale. Al funerale nel Duomo della città eravamo in molti, gli
artisti, i cittadini, gli amici più cari; mancavano i rappresentanti delle istituzioni locali che, mal per loro, sono stati ciechi e sordi a non esserci, perché in quel
rito semplice e partecipato si stava licenziando dalla vita terrena un uomo, un artista
che, pure nel silenzio del suo orgoglio, aveva contribuito con il suo pennello ad
arricchire le nostre passioni e ad indurci a scelte sempre meno improvvisate, per mai
soggiacere ai valori delle culture prepotenti.