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Il corpo ed il limite (2a parte)
 
Il linguaggio del piacere e l'iperbolizzazione del cibo

di
 
Luigi M. Lombardi Satriani

La dimensione corporea, costitutivamente presente nello spazio carnevalesco, puo' essere dilatata sino ad includere elementi naturali, quali la terra e il mare. Nella sua celebre indagine su L'opera di Rabelais e la cultura popolare, Michail Bachtin sottolinea come Rabelais descriveva anche delle gobbe di incredibile grandezza, dei nasi mostruosi, delle gambe di lunghezza eccezionale, delle orecchie gigantesche. Descrive nei minimi particolari anche coloro che hanno un fallo incredibilmente lungo (al punto da poterlo usare come cintura arrotolandolo per sei volte intorno al corpo), e anche quelli dotati di testicoli enormi. Come risultato di tutto cio', ecco che abbiamo davanti l'immagine di un corpo grottesco grandioso e, nello stesso tempo, tutta una serie di figure carnevalesche (persino i fantocci che si facevano per carnevale avevano di solito le stesse anomalie)(L'opera di Rabelais e la cultura popolare, Torino, Einaudi, 1979, p. 359). Ancora Bachtin sottolinea: Il corpo grottesco [...] e' un corpo in divenire. Non e' mai dato ne' definito: si costruisce e si crea continuamente, ed e' esso stesso che costruisce e crea un altro corpo; inoltre questo corpo inghiotte il mondo ed e' inghiottito da quest'ultimo (ricordiamo l'immagine grottesca del corpo nell'episodio della nascita di Gargantua e della festa per la macellazione del bestiame). E' per questo motivo che il ruolo piu' importante nel corpo grottesco e' affidato a quelle sue parti luoghi dove esso va oltre se stesso, esce dai limiti prestabiliti, comincia la costruzione di un nuovo (secondo) corpo: il ventre e il fallo. A essi e' affidato un ruolo di primo piano nell'immagine grottesca del corpo; ed e' per questo che essi diventano l'oggetto prediletto di un'esagerazione positiva, di un'iperbolizzazione; possono perfino separarsi dal corpo, avere una vita indipendente, cos“ come possono soppiantare le restanti parti del corpo relegate in una posizione subalterna (anche il naso pu˜ separarsi dal corpo). Dopo il ventre e il membro virile e' la bocca che ha la posizione piu' importante nel corpo grottesco, poiche' essa inghiotte il mondo; e infine il deretano. Tutte queste protuberanze e orifizi sono caratterizzati dal fatto che appunto in essi vengono scavalcati i confini fra due corpi e fra il corpo e il mondo, e hanno luogo gli scambi e gli orientamenti reciproci. E' questo il motivo per cui gli avvenimenti principali nella vita del corpo grottesco, gli atti del dramma corporeo - il mangiare, il bere, i bisogni naturali (e altre secrezioni: traspirazione, secrezione nasale, starnuti), l'accoppiamento, la gravidanza, la nascita, la crescita, la vecchiaia, la malattia, la morte, lo spezzettamento, lo smembramento, l'assorbimento da parte di un altro corpo - avvengono ai confini tra il corpo e il mondo, o tra il corpo vecchio e il corpo nuovo; in tutti questi avvenimenti del dramma corporeo l'inizio e la fine della vita sono indissolubilmente legati (Ibidem, p. 347). L'enfatizzazione di alcune parti del corpo che sto sottolineando ha, certo, come suo costo la messa in ombra delle altre parti, il progressivo slittamento di esse in una zona di oscuritˆ, di invisibilitˆ. Abbiamo, contemporaneamente e non contraddittoriamente, un corpo enfatizzato e un corpo rimosso, un corpo illuminato e un corpo oscurato. Nel corpo puo' essere incardinata la memoria, tanto piu' ineludibile quanto piu' strutturata in noi, nel nostro insopprimibile Dasein. Sul corpo si puo' scrivere, costituendolo lavagna vivente e incommensurabile. Nella Grecia classica - lo ha notato con efficacia Laura Faranda - abbandonata la potenza della donna-terra, la donna-matrice, secondo quanto nota Page Du Bois, "non e' piu' la feconda e partenogenica terra, e' piuttosto una superficie vuota, una tabula rasa, un campo che non deve essere arato ma su cui si deve scrivere". [...] Entro tale scenario storico la logica della scrittura sara' chiamata, in una prospettiva etico-politica, ad arginare e a ridefinire i luoghi del sentimento, gli spazi della sofferenza, la rappresentazione del dolore [...] Un corpo, quello femminile, che non si offre ancora - nonostante la comunita' civica lo esiga - come metafora unitaria di un'identita' conquistata, ma che si ridefinisce incessantemente in una serie di attributi assumibili come perifrasi di un mosaico corporeo. Un corpo che la scrittura (simbolo di una riproduzione maschile, strumento garante di un nuovo modello di continuitˆ storica) ha il compito di ridescrivere e perimetrare, misurandosi con la sofferta conquista storica di un oggetto "sconosciuto" che riformuli la fecondita' ipertrofica del corpo "vissuto" (Dimore del corpo, Roma, Meltemi, 1996, pp. 66-67). Con il corpo si puo' scrivere, come testimonia con le sue eloquenti tracce di sangue la vicenda di Natuzza Evolo, veggente calabrese che con la sua sudorazione ematica scrive espressioni mistiche sui fazzoletti posti a contatto col suo corpo, secondo quando ho analizzato in altra sede (L.M. Lombardi Satriani - M. Melegrana, Il Ponte di San Giacomo. Ideologia della morte nella societˆ contadina del Sud, Palermo, Sellerio, 1995, v. anche il filmato a cura di M. Boggio e L. M. Lombardi Satriani, Natuzza Evolo, prodotto per la Rai Radiotelevisione Italiana). In tutto il mondo possiamo trovare la dolorosa inscrizione della memoria del corpo. Circoncisione, subincisione, castrazione, clitoridectomia, infibulazione, estrazione di un dente, taglio di una falange, perforazione di parti del corpo, scarnificazione, tatuaggio, sevizie, giocano un ruolo importante, rituale e ritualizzante, nella costituzione di cio' che si ricorda e del se' che ricorda. Si pensi come spesso riti idiosincratici, a volte anche psicotici, sono accompagnati dall'induzione del dolore fisico. si pensi anche alle nostre dolorose esperienze. Esse rimangono forti della nostra memoria, a meno che non siano troppo "intense". In questo caso, diciamo che sono state soppresse, represse o rimosse. diventano "traumi" (Riflessioni frammentarie sul corpo..., in M. Pandolfi (a cura di), Perche' il corpo. Utopia, sofferenza, desiderio, Roma, Meltemi, 1996, pp. 156-180, pp. 174-175). Quali linguaggi questo corpo enfatizzato, illuminato, con il suo correlato dialettico di corpo rimosso, oscurato, parla, nella varietˆ dei suoi influssi comunicativi? Anzitutto, il linguaggio del desiderio, del piacere. Il corpo dagli attributi sessuali cos“ enfatizzati predispone al godimento possibile, e una continua evocazione di esso, una iperbolica sottolineatura della sua realizzabilitˆ. Il desiderio prefigura il piacere e, in qualche modo, giˆ ne costituisce un compimento. Il carnevale si costituisce come spazio di divertimento, di realizzazione del piacere, dispiegantesi su piu' piani. I piaceri carnevaleschi sono, essenzialmente, piaceri corporei. Anzitutto, il piacere sessuale. Falli e mammelle gigantesche sottolineano la potenza sessuale dei mascherati, la loro pressoche' illuminata capacita' di dare e ricevere piacere. Attraverso il sesso, l'inesauribilita' tendenziale dell'attivita' sessuale viene cosi' sperimentato - certo, a livello fantastico - il superamento del limite del corpo nel suo essere strumento di piacere. La sessualita' e' vita che si proietta nel tempo, che si progetta nel futuro: e' potenzialita' di superamento del limite del corpo, mezzo essenziale perche' il piacere della sessualita'-vita celebri il suo trionfo. Anche per questo e' possibile parlare di un trionfo di Pulcinella che si realizza compiutamente nel carnevale popolare. Fallo gaudente e trasgressivo, Pulcinella poteva, tuttavia, al tempo stesso assolvere una funzione terapeutica, fugando, come desiderio realizzato, la paura, e liberando ritualmente il pubblico dal peso della vergogna e della colpa. E' il carnevale popolare il luogo in cui vivono i fasti del Pulcinella fallomane del teatro secentesco. Proprio in Acerra, sua mitica patria, il Cetrulo racconta pubblicamentele sue prodezze sessuali con una liberta' che e' difficile trovare nelle altre sopravvivenze carnevalesche (L. M. Lombardi Satriani, D. Scafoglio, Pulcinella. Il mito e la storia, Milano, Leonardo, 1992, pp. 185-186). Ne' meno importanti sono, nello spazio carnevalesco, i piaceri alimentari. L'eccesso di cibo, presente nel carnevale, la sua varieta', l'insaziabilita' dei protagonisti, sempre disponibili alla dimensione pantagruelica, esplicitano le valenze realistiche e simboliche di un piacere alimentare tendenzialmente illimitato. anche se con motivazioni diverse, tutte le fasce sociali partecipano al piacere dell'orgia alimentare, della sua frenetica e gioiosa illimitatezza. Nella Roma del Rinascimento si celebrava la "cuccagna del porco", durante la quale veniva lanciata dall'alto un'enorme quantita' di generi alimentari al popolo, che li raccoglieva e divorava; papa Paolo II - si racconta - soleva assistere di nascosto a queste orge alimentari e domus fenestra, unde secrete conviventem populum prospicere poterat. Il piacere segreto e solitario del papa non doveva essere molto diverso da gusto con cui gli aristocratici e il re di Napoli assistevano alle gozzoviglie dell'infima plebe durante le cuccagne carnevalesche [...](Ibidem, p. 168). In questo orizzonte di valori la gola lungi dall'essere peccato e' occasione di un piacere da perseguire, finalizzando a esso buona parte delle azioni individuali. Classificata tra i sette peccati capitali, la gola e' stata per secoli frenata da un sistema di interdetti che colpivano intere categorie di cibi, imponevano lunghi periodi di astinenza, limitavano gli usi e fissavano rigorosamente i tempi e le modalita' del consumo degli alimenti. E' questo insieme di temperanza e misura che e' del tutto assente dall'apologia del mangiare che Pulcinella ripete nei suoi comportamenti teatrali e nei suoi discorsi alimentari. Sregolato e abnorme, l'appetito di Pulcinella tende alla gozzoviglia ingorda: eccesso che nasconde il difetto, tipico di culture di popolazioni sottoalimentate; reazioni a imperativi privi di consenso, eccessiva e paradossale, l'appetito di Pulcinella e', oltre e nonostante questo, di segno vitalistico, e' la voracitˆ delle figure gigantesche e mostruose dell'immaginario popolare, enfatizzazione festosa della naturalita' dei bisogni e delle funzioni viscerali dell'uomo e dei valori catartici della grande attrippata comunitaria (Ibidem, pp. 161-162). Anche attraverso il cibo, la possibilitˆ tendenzialmente inesauribile di ingurgitarne quantita' spropositate, si sperimenta - anche in questo caso a livello fantasmatico - il possibile superamento del limite della sazieta'. Se nella realta' il corpo incontra tale limite della sazieta' e gli altri condizionamenti biologici - di troppo cibo si puo' morire, come ci ricorda La grande abbuffata di Ferreri -, nello spazio carnevalesco il corpo puo' essere immaginato fonte inesauribile di un piacere continuamente rinnovantesi. La gola e il ventre sono in questo valori metonimici per indicare l'intero corpo che - anche sul piano alimentare - non conosce limiti, perche' li ha tutti trascesi. In questa prospettiva sono profondamente connesse l'iperbole del ventre e l'iperbolizzazione del cibo, eloquentemente testimoniate dal corpo di Pulcinella, dall'emblematicitˆ della sua maschera rispetto all'intero universo carnevalesco. [...] il ventre ampio di Pulcinella e' il riscontro visivo del suo sistema di bisogni, che sono, prioritariamente, bisogni di sesso e di cibo. L'iperbole del ventre corrisponde l'iperbolizzazione del cibo, ricerca affannosa e fantasia onirica dell'attrippata ingorda e della crapula pantagruelica. Secondo un modo di sentire diffuso, su cui peraltro la vecchia fisiognomica sembra incontrarsi con la moderna scienza del profondo, l'iperbole del ventre e' l'equivalente dell'iperbole fallica: "Chi ha il ventre grande e' da giudicarsi stordito, superbo e lussurioso [...]. Il ventre troppo grande dimostra soverchia libidine". Questo spiega in parte il compiacimento di Pulcinella per la sua pancia abbondante e imponente, che gli conferiva ambiguamente un'aria maschia, un po' sinistra; (Ibidem, pp. 390-391) La connessione tra sessualita' e fame e' presente in numerose culture; la risata pulcinellesca ce lo ricorda con divertita eloquenza. Sulle profonde connessioni della fame con la sfera del desiderio erotico esiste ormai una ricca letteratura; essi si fondano sulla "analogia profondissima che, ovunque nel mondo, il pensiero umano sembra stabilire tra l'altro l'atto della copulazione e l'atto del mangiare, a tal punto che moltissime lingue li designano con lo stesso termine. In yoruba, "mangiare" e "sposare" si esprimono con un verbo unico che ha il senso generale di "prendere", "acquistare": uso simmetrico al nostro che adopera il verbo "consumare" tanto per il matrimonio quanto per il pasto. Nella lingua dei Koko Yao della penisola di Capo York, la parola Kuta Kuta ha il doppio significato di incesto e di cannibalismo, che sono le forme iperboliche dell'unione sessuale e del consumo alimentare; e, in Africa, tra i Mashona e i Matabele, la parola totem possiede anche il significato di "vulva della sorella", la qual cosa fornisce una verifica indiretta dell'equivalenza tra copulazione e mangiare" dal momento che "ingerire il totem e' una forma di cannibalismo [...](Ibidem, pp. 177-178).



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