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Musica (popolare) in Sicilia e Calabria

di Maurizio Cuzzocrea


Parlare della situazione della musica popolare, in Calabria e in Sicilia, nel momento in cui sembra maggiore il successo della tarantella e dei suoi derivati nel mercato della musica dal vivo e della discografia può portare a facili confusioni. Si potrebbe ad esempio pensare che decenni di documentazione e riproposta del patrimonio musicale tradizionale abbiano finalmente portato frutto. Non è così, purtroppo. A fianco di esperienze che con coerenza ed impegno portano avanti il discorso mai interrotto del riconoscimento della valenza artistica e culturale delle produzioni delle culture subalterne, troviamo, sempre più di frequente, personaggi e situazioni che di queste si appropriano per cavalcare l'onda del successo del momento. Non si vuole qui demonizzare approcci superficiali e nemmeno darne un giudizio di valore negativo, ma di certo prima dei vari "Taranta Power" di oggi c'era chi al sud e al nord d'Italia si faceva alfiere del riconoscimento del valore della tradizione. Da sempre realtà con caratteristiche loro singolari, la Calabria e la Sicilia vivono oggi paradossalmente la migliore produttività artistica e culturale e, ma questa non è certo una novità, la quasi totale marginalità nei circuiti del "folk che conta". Da sempre la Sicilia ha avuto due poli di produzione musicale, quello che fa perno su Palermo e quello incentrato su Catania. Mentre la situazione del catanese è sempre stata abbastanza omogenea sia per quanto riguarda la musica popolare, sia per quanto riguarda le musiche "altre" (ci permetta chi legge, per una volta, di affermare che i subalterni siano la materia dominante e i "moderni" la cultura diversa), la realtà palermitana si è connotata per una continua ma più faticosa attività di promozione della musica tradizionale. Oggi l'eredità di Rosa Balistreri e Fortunato Giordano, dei Buttitta e dei Busacca sicuramente si può trovare nei lavori discografici legati all'etichetta Teatro del Sole ed all'associazione Cielozero che ne è l'origine. Nel resto della Sicilia rimane l'esperienza isolata di Carlo Muratori e il ricordo di quella che un tempo fu la Taberna Mylaensis. L'unica segnalazione che ci sentiamo di fare è quella degli Sciroccu, formazione che può puntare con dignità ad ereditare lo scettro dello storico gruppo de I Cilliri. La Calabria ha sempre vissuto la sua esperienza musicale in maniera ambivalente e paradigmatica: la storia musicale dei due gruppi principali, Dedalus e Re Niliu, ne è una testimonianza. Mentre il Collettivo Dedalus, si inseriva in un percorso di politicizzazione del canto popolare, affrontando direttamente per scelte stilistiche e di collaborazioni, Caterina Bueno, Rosa Balistreri, certe forme di teatro e di riproposta musicale, sfociate inevitabilmente in un percorso di creazione di canzone d'autore in calabrese, Re Niliu, invece, già dall'origine si proponeva come realtà politica in un senso ampiamente diverso, in altre parole quello della riproposta del patrimonio culturale e musicale agro-pastorale e della creazione intorno ad esso di occasioni di sviluppo sociale ed economico. Ambedue le scelte si dimostrano caratterizzanti, pur nelle loro diversità, di un modello molto definito di interpretazione della cultura popolare che non allo stesso modo si è sviluppato in Sicilia. Resta il dubbio di quanto possa avere su ciò influito l'estrema varietà della realtà sociale e culturale siciliana da un lato e, dall'altro, la maggiore conservazione del patrimonio musicale in Calabria dovuta a nostro avviso alle mancate occasioni di modernizzazione, di sviluppo e di contatto con l'esterno che hanno fatto della Calabria un grosso buco nero nell'itinerario che da Napoli portava a Messina o a Palermo. Segnali luminosi per il futuro ne vediamo in tutte e due le regioni, con l'augurio che mai si perda di vista che la tradizione è sempre stata in movimento e che l'obiettivo della produzione musicale è quello di fare arte e non di ripercorrere forme espressive già viste e, mai come in questo caso, già sentite.



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