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Le scorciatoie della sinistra

di Piero Di Siena



Non c'è alcuna ragione per pensare che dall'attuale crisi dei partiti sia possibile tornare al modello dei vecchi partiti di massa così come sono stati conosciuti in Italia dal dopoguerra fino alla fine degli anni Settanta. Intanto perché nella storia, di solito, è difficile che si ritorni indietro, e poi soprattutto perché quella forma di mediazione tra istituzioni e società civile è così peculiarmente legata alla costituzione materiale della società italiana di quei decenni per potersi semplicemente ripetere. In quanto ai partiti attuali soprattutto a sinistra, essi non sono partiti, ma forme (è difficile dire quanto provvisorie) di riorganizzazione del ceto politico e della sua riproduzione. Può sembrare questa un'affermazione troppo drastica che trascura, ad esempio, il forte radicamento che i DS hanno ancora nelle regioni dell'Italia centrale, ma nella sostanza essa è corrispondente al vero. Lo stesso maggiore partito della sinistra, infatti, è nella sostanza sempre più vicino ad essere una formazione politica a scala regionale che una forza nazionale. Lontano mille miglia dai problemi del lavoro in trasformazione che si manifestano soprattutto al Nord, dove la sinistra ha ormai raggiunto il minimo storico della sua rappresentatività sociale. Ridotto nel Mezzogiorno a ceto politico istituzionale, laddove si continua ad amministrare. Tutto ciò significa che stiamo entrando in un'epoca nella quale le democrazie moderne avranno sempre meno bisogno dei partiti? Quando qualche volta, nel corso degli anni novanta, ci è toccato misurarci con questa affermazione, siamo stati tutti condizionati dai particolari sviluppi della vicenda italiana che - per quel che riguarda la storia e l'evoluzione dei partiti - è stata caratterizzata da cesure particolarmente traumatiche. Il fatto che il maggiore partito della sinistra in Italia fosse un partito comunista, inevitabilmente condannato all'esplosione dopo il crollo del Muro di Berlino, e le vicende legate a Tangentopoli hanno prodotto non solo una trasformazione ma un cambiamento radicale che ha investito la stessa nomenclatura dei partiti. Tutto ciò in qualche caso ha potuto far pensare che la fine di quelle formazioni politiche stesse a significare la fine tout court della funzione dei partiti. Basterebbe guardare a destra, e in particolare all'evoluzione e allo sviluppo di Forza Italia, per capire che così non è. Non esiste nessun funzionamento delle istituzioni statali (né potrebbe accadere ora che queste sono proiettate sempre più in una dimensione sovranazionale) senza l'esistenza di quelle particolari "istituzioni intermedie" che siamo soliti chiamare partiti. Il problema è quindi non di misurasi con il tema se la crisi dei partiti sia o no irreversibile ma di rispondere alla domanda: "quali partiti?" A sinistra in Italia sarà difficile trovare il bandolo di questa discussione se la polemica si ferma al dilemma tutto italiano tra primato dei partiti e quello della coalizione, e quindi sul fatto se bisogna o meno resuscitare l'Ulivo. Tutto lascia pensare che, per l'imminenza delle elezioni politiche, sarà difficile sfuggire a questo tormentone. Ed è un'amara constatazione che, come ai tempi dell'attentato a Togliatti nel '48, le sorti della politica italiana siano affidate a Coppi e a Bartali, evocati da Amato per rappresentare la sua gara con Rutelli per la leadership del centrosinistra. Ma bisogna essere consapevoli che, procedendo in questo modo, i problemi dopo le elezioni, qualunque sia il loro esito, saranno tutti risolti. Bisognerebbe invece con maggiore risolutezza collocare questo quesito, relativo alla sorte e alla funzione del partito, nell'ambito della discussione del socialismo europeo e del dialogo da questi aperto con altri attori della sinistra mondiale. So bene che quanti a ragione sostengono che il tema della ricostruzione del ruolo dei partiti in Italia non possa essere scisso dalla lotta per riaffermare una funzione autonoma della sinistra, guardano con sospetto alle tendenze che si sono manifestate nella discussione del socialismo europeo e riconducibili a quell'orientamento che si è definito "terza via" tra socialismo e liberismo. Ma non c'è soluzione diversa da quella di un confronto anche aspro all'interno del socialismo europeo, se non vogliamo contribuire a chiudere la sinistra italiana in un recinto provinciale succube delle suggestioni dell'"americanismo" (cosa altro sarebbe altrimenti certo ulivismo?), proprio nel momento in cui Berlusconi e Forza Italia irrompono da protagonisti nel dibattito relativo al destino del Partito Popolare europeo.



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