di Mario Alcaro
Il carattere generico e approssimativo delle tesi che pongono al centro della "questione
meridionale" le tradizioni culturali del Sud (e che pertanto sostengono che le vere
cause del clientelismo, della criminalità mafiosa, e del ritardo economico risiedono nel modo di pensare e negli stili di vita dei meridionali) si rivela già nella loro
incapacità di fornire un corretto inquadramento temporale e spaziale, vale a dire
storico e geografico, dei fenomeni indagati. Prendiamo, ad esempio, la mafia. La
criminalità mafiosa ha cominciato a manifestarsi in Sicilia solo a partire dal 1700. In Calabria
essa risale all'800. Come può, dunque, essere messa in connessione e spiegata con
le tradizioni culturali meridionali vecchie di millenni? Altri fenomeni, di carattere storico, economico, sociale, devono essere intervenuti per generare il mostro .
Un'analoga considerazione può essere fatta sul piano della sua distribuzione geografica.
Una distribuzione tutt'altro che omogenea; alcune regioni come la Lucania, l'Abruzzo e il Molise ne sono esenti. In altre regioni la Piovra è cosa molto recente: sino
a qualche decennio fa la mafia era assente in Puglia e in buona parte della Calabria
(il cosentino e, parzialmente, il catanzarese). Come è possibile ricondurre, allora,
il fenomeno mafioso ad usi, costumi, culture, in una parola ad un ethos, quando esso
alligna solo in alcuni territori e non in altri. Lo stesso dicasi per il fenomeno
dell'arretratezza economica. In alcune zone del Sud, come tutti sanno, si sono affermati
processi produttivi, tanto nell'agricoltura quanto nell'industria, estremamente avanzati.
In altre, prevalgono sistemi ancora rudimentali.
Sul piano complessivo, le spiegazioni sociologico-culturali dei mali del Sud (che
sono poi, in buona sostanza, spiegazioni antropologiche) si fondano sulla riduzione
della complessità dei fattori che compongono il quadro d'assieme, sull'esclusione
di certi elementi imprescindibili e sull'enfatizzazione del ruolo di certi altri. Esse trascurano
i mutamenti della geografia economica e le conseguenze che tali mutamenti determinano
nelle singole aree; trascurano i processi politici esterni e interni che la cultura di una comunità non riesce a controllare e a cui deve necessariamente adattarsi;
trascurano quelle congiunture socio-politiche che si vanno affermando e che a volte
stravolgono o fanno un uso distorto (e strumentale) dei valori che rappresentano
il cemento delle comunità. In poche parole, non danno il giusto rilievo alle alterne fortune
della cultura meridionale, e perciò compiono un corto circuito che consiste nell'istituzione
di un rapporto diretto, immediato, semplificato, fra problemi insoluti e tradizione culturale delle popolazioni meridionali.
Avviene così che non vengano colti e non siano messi bene a fuoco i principali fattori
degenerativi presenti nel Mezzogiorno: la continua e persistente crisi di legittimità
delle istituzioni statuali; la mancanza di un sistema credibile ed efficace dell'amministrazione della cosa pubblica con le conseguenti carenze sul piano dell'etica
pubblica; il rapporto di estraneità, di lontananza e spesso di conflittualità con
le istituzioni verso cui si intrattengono quasi unicamente atteggiamenti strumentali
(clientelismo); il senso di dipendenza sia sul piano politico che su quello economico,
dovuto al fatto che il potere politico si è tradizionalmente imposto dall'esterno
e lo sviluppo economico è stato quasi sempre sviluppo dall'alto ; la carenza di
autonomia e di protagonismo pubblico che può essere superata soltanto con l'avvio di un processo
di avvicinamento fra istituzioni e cultura (federalismo); la mancanza di fiducia
in se stessi degli uomini e delle donne del Sud che diviene spesso autodenigrazione,
accettazione degli stereotipi più miserabili sul Mezzogiorno, pessimismo paralizzante
che fa mancare quel necessario tasso di speranza richiesto per generare profondi
processi di innovazione e di rinnovamento.
E avviene così che ciò che sono le virtù private delle popolazioni del Sud non solo
restano occulte, ma sono addirittura scambiate per le vere cause dei vizi pubblici
dei meridionali. Proprio per questo Ora Locale si è assunta il compito di segnalare le virtù private presenti nel tessuto sociale e nelle tradizioni culturali meridionali
e di dare espressione a qualcosa che ormai è nell'aria, ad una nuova sensibilità,
ad una diversa soggettività meridionale che va manifestandosi attraverso pubblicazioni di vario tipo (volumi, riviste, atti di convegni) ed esperienze politiche, soprattutto
municipali, che hanno recentemente conseguito risultati rilevanti. Si tratta di un
modo nuovo di rapportarsi ai problemi del Sud. E' la riscoperta, in positivo, di
culture, valori, tradizioni, forme di socialità, stili di vita, sin'ora intesi soltanto
come tare ataviche. E' il rovesciamento dell'ottica tradizionale: riscoprire il valore
dell'amicizia, dei rapporti interpersonali, delle appartenenze, della solidarietà
di vicinato, e leggerli in positivo. Non si vuole certo sminuire la gravità delle storture
e le profonde degenerazioni di gangli vistosi dell'organizzazione politica e sociale
del Mezzogiorno. Ma tali storture e degenerazioni non vengono più interpretate come il risultato meccanico dei valori della cultura meridionale.
Lo si è già detto: se la mafia fosse figlia della cultura del Sud, come mai non esiste
da sempre e ovunque? In realtà essa si è formata per la difesa di un ordine sociale
tradizionale minacciato dall'introduzione del mercato. Più in generale si può dire
che molte analisi risultano inficiate per il fatto che non rilevano i fenomeni negativi
che, intrecciandosi con i dati culturali del Sud, danno ad essi una torsione e una
curvatura particolare. E' per questo che l'operazione politica più auspicabile è
quella che destina i valori culturali a uno sbocco diverso, tanto sul piano politico che
su quello civile. Il meridionale tende a personalizzare sempre i rapporti, è vero.
Ma legare meccanicamente l'importanza data all'amicizia, allo scambio di doni e di
favori, con il clientelismo, è operazione superficiale. E porta all'assurda convinzione che
per estirpare questa politica deformata, che ha cause storiche precise, occorra superare
l'amicizia, la personalizzazione dei rapporti, il senso delle appartenenze e tutto ciò che non rientra, in fondo, nei rapporti di mercato, che sono sempre neutri, impersonali,
intercambiabili.
Essere portatori di una nuova sensibilità meridionale significa recuperare il senso
della socialità primaria e della comunità, recuperare i valori della solidarietà
umana (inevitabilmente particolaristica perché fatta di rapporti concreti e personali),
interpretare il particolarismo non come un limite, ma come una risorsa. E' per questo
che si è fatta strada la richiesta di un federalismo municipale , cioè di istituzioni
più vicine ai cittadini, al territorio, alle comunità locali, e capaci di innescare
un rapporto di fiducia reciproca. E' per questo che cresce la domanda di uno sviluppo
non più portato dall'esterno, ma endogeno, compatibile con l'ambiente e rispettoso
della cultura più profonda e dell'identità delle popolazioni meridionali.