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Da "il manifesto", domenica 4 febbraio 2001

Note allegre dopo il Forum

di Pierluigi Sullo


Il primo Forum sociale mondiale è finito, a Porto Alegre, appena cinque giorni fa, e da una distanza tanto ravvicinata è impossibile dire se sia stato, come qualcuno ha detto, un evento storico. Il cammino è lungo, e sarà l'anno che ci separa dalla prossima Porto Alegre a dire dove siamo. Però è certo che, dopo l'esplosione di Seattle, Porto Alegre ha detto una parola in più. La contemporaneità con Davos ha giovato, ma già per loro virtù la mescolanza che si è realizzata nella città brasiliana, l'enorme partecipazione, la forza degli argomenti e la generale sensazione di essere realisti, nel volere quell' "altro mondo" che è appunto "possibile", ha trasmesso ovunque un messaggio che dice: il pensiero unico ha trovato un antagonista. Proprio all'ingresso del grande spazio che, nell'Università cattolica, fungeva da piazza del Forum, qualcuno aveva un po' casualmente piazzato un grande cartellone con una frase di Ernesto Che Guevara: "Quando lo straordinario diventa quotidiano, è la rivoluzione". Certo, "rivoluzione" è una parola da svolgere in modo adatto ai tempi, ma la percezione comune era che l'antiliberismo, ovvero la forma attuale dell'anticapitalismo, usciva dai libri e dal mondo dei desideri per (ri)entrare nella storia.
Perciò i media mondiali, inclusi gli italiani, se ne sono accorti. In modo distorto: non riuscendo, per scelta o per semplice ignoranza, a non offrire, come gli specchi dei luna park, immagini deformi. E certo, se si hanno in mente le classificazioni del passato, è difficile capire come potessero, nel Forum, dialogare e firmare documenti comuni, una grande confederazione sindacale come la brasiliana Cut, le reti europee del commercio equo e solidale e l'associazione pluricontinentale Via campesina. Ciononostante, che esistano un pensiero e una mobilitazione globale "antiliberista175 o "contro la globalizzazione neoliberista" sta diventando senso comune: significa che là dove i vecchi linguaggi non comunicavano più, ora si è aperto un varco. Chi l'ha detto, in fondo, che noi si debba essere tristi e noiosi? Non è un segno, a sua volta, il fatto che il primo suono mandato dal Forum fosse quello dei tamburi afro-brasiliani?
Il primo Forum sociale globale è nato, essenzialmente, grazia a un asse franco-brasiliano. Anche questo non è per caso. Due grandi nazioni, con il senso della propria identità, hanno prodotto l'una, la Francia, una delle principali correnti del dibattito contro il liberismo, nonché movimenti sociali e intellettuali, come Attac, che propongono soluzioni, come la Tassa Tobin, all'altezza (planetaria) del problema: nell'altra, il Brasile, esistono i movimenti sociali più forti, come appunto i Sem Terra, e una possibilità politica entusiasmante, dopo che la sinistra del Pt (il Partito dos trabalhadores) ha conquistato le città più importanti, come San Paolo, e dopo i molti anni di sperimentazione riuscita, come a Porto Alegre, di un modello democratico innovatore.
Questo è il punto di partenza. E questo significa. Allo stesso tempo, che nel Forum sociale altre esperienze, altri movimenti erano obiettivamente in secondo piano. Per esempio, è stato scarso il peso dei movimenti e degli intellettuali anglosassoni, nordamericani in particolare. Sono altri stili, altri modelli di organizzazione, quelli che hanno prodotto Seattle, che devono entrare nel gioco della comunicazione e dell'alleanza. Ancora, e proprio nel momento in cui l'Ecuador esplodeva contro la dollarizzazione e alla vigilia del viaggio zapatista a Città del Messico, poco si sono viste le lotte degli indigeni americani, dal Canada al Cile. E poi i Balcani, la Palestina... L'elenco delle presenze deboli, diciamo così, sarebbe lungo. E anche un po' fatuo. L'importante è aver fatto il primo passo verso una rete globale, di cui il documento finale dei movimenti, rappresenta una prefigurazione: lo si può leggere in www.carta.org e le adesioni sono aperte.
Nel frattempo, il primo Fsm si è chiuso annunciando la creazione di un comitato organizzatore stavile e la scrittura di un codice per l'organizzazione di questi appuntamenti, il secondo di questi sarà ancora a Porto Alegre, ma in seguito bisognerà vedere dove e come. Erano, queste, alcune tra le cose che la delegazione italiana aveva proposto: l'allargamento del comitato organizzatore prima di tutto.
Ma anche questa non è una cosa che possa essere decisa (o ottenuta) per via formale. Dal Forum usciamo appunto con l'appello dei movimenti, che si conclude indicando gli obiettivi del 2001, e, tra questi, principalmente due: i vertici di Québec e Buenos Aires per la creazione dell'area di libero commercio delle Americhe e, a luglio, l'incontro degli Otto Grandi a Genova. Che diventerà, per la sua portata globale, il luogo su cui (e contro cui) convergeranno movimenti e iniziative di tutti i tipi e da tutto il mondo.
A Porto Alegre è successo un fatto molto positivo. Le quasi centocinquanta persone venute dall'Italia hanno finito per agire come un insieme plurale sì, ma in grado di formulare le sue proposte, per esempio sulla stesura dell'appello dei movimenti, e di nominare un suo portavoce. Eravamo uno dei gruppi europei più numerosi e siamo stati i soli a presentarci ovunque come delegazione. Alla fine, s'era creato un clima di cooperazione. Siamo partiti con il piede giusto. Ma il luglio genovese è a un tempo la nostra opportunità, quella di entrare a pieno titolo nel circuito globale, e la nostra responsabilità, quella di offrire al movimento antiliberista, alle persone di ogni continente, colore o tendenza, la possibilità di venire a Genova, di esercitarvi i loro diritti democratici, di esprimere la sua opposizione, svolgere i suoi argomenti ed entrare in rapporto con altri. In un certo senso, è come se spettasse a noi, organizzazioni sociali, sindacali e politiche italiane, l'organizzazione di un Forum sociale mondiale di medio termine, diciamo così.
Questa grande responsabilità ci consegna l'ultima domanda. Gli italiani a Porto Alegre, tra i quali pure vi erano la delegazione di Rifondazione comunista e alcuni della Cgil, hanno lavorato bene. Ma perché, nelle conferenze ufficiali del Forum, la presenza di intellettuali o esponenti politici e sindacali italiani erano inesistenti? Colpa dei francesi e dei brasiliani? Un po', forse. Ma la causa principale risiede in noi. Il pensiero critico italiano è stato, fino a un paio di decenni fa, studiato in tutto il mondo. Negli stand dei saloni del Forum abbondavano le edizioni, in molte lingue, di Antonio Gramsci. Cose è successo nel frattempo? Come si spiega questa assenza o indifferenza? Si pensa che esiste una "terza via" tutta e solo italiana tra il neoliberismo, o capitalismo globale, e l'opposizione che si è storicamente data e di cui Porto Alegre rappresenta indiscutibilmente la manifestazione attiva? E' una domanda che mi piacerebbe rivolgere, in tutta amicizia, per esempio ai compagni della Rivista del manifesto, che di quella sinistra critica è l'incrocio principale.



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