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  Pubblichiamo qui di seguito la prima parte di un articolo dell'antropologo Mauro Geraci sull'attivita' e sulla letteratura dei moderni poeti-cantastorie del Sud, spesso incentrate su tematiche di estrema attualita'. La seconda parte dell'articolo seguira' nel prossimo numero di novembre. Mauro Geraci e' autore di un recente volume su "Le ragioni dei cantastorie. Poesia e realta' nella cultura popolare del Sud" (Il Trovatore, Roma 1996) e ha tenuto numerose lezioni presso l'Universita' della Calabria.

CANTASTORIE di Mauro Geraci
 

Un velo di nostalgica compassione appanna spesso gli occhi di chi, conversando amichevolmente del vario mondo musicale che ci circonda, percepisce accanto a quello di cantare, canzonettista napoletano, folk-singer, rock star, cantautore, rappista, chansonnier, il suono della parola cantastorie. Come se tale parola potesse ancora essere usata nella societa' modernista solo a patto di essere preceduta da aggettivi quali ultimo, tradizionale, antico,vecchio. Atteggiamenti mentali, questi, non certo mossi da sani interessi storici, filologici e antropologici per le origini degli odierni cantastorie del Sud, quanto, piuttosto, da quel bisogno consumistico di occultare, allontanandola nel tempo, la presenza folklorica perche' scandalosa, vergognosa, ridicola, inadeguata ai dettami fulminei e irriflessivi dell'efficientismo contemporaneo, improduttiva, superata, non piu' di moda e quindi da ripulire e appendere al chiodo in zuccherati quadretti folkloristici. Per quanto gravissima, la scomparsa recente dell'ultranovantenne poeta-cantastorie di Bagheria Ignazio Buttitta - poeta tradotto da Quasimodo e in moltissime lingue, le cui opere sono fra le piu' alte pagine della letteratura dialettale nazionale - non corrisponde pero' alla fine del lavoro poetico-musicale dei cantastorie. Gia' negli anni Sessanta Carlo Levi ebbe modo di apprezzare in essi forse l'unica forma di informazione, di denuncia sociale e di spettacolo, della quale molti siciliani e calabresi si sentono tuttavia protagonisti piu' che spettatori passivi: la tradizione dei cantastorie, che vanno di villaggio in villaggio, sulle piazze o nei teatri e cinematografi, e raccolgono le folle ai loro versi e alle loro antiche cantilene, non si e' mai interrotta; nei versi e nella chitarra di Ciccio Busacca ritrovi lo schema del passato e le vicende attuali dei banditi, della mafia, dei contadini, dei sindacalisti, del popoloÈ (Prefazione a I. Buttitta, La peddi nova, Feltrinelli, Milano 1977, p. 7). In Sicilia e in Calabria si assiste oggi alla rigogliosa attivita' di cantastorii quali Otello Profazio, Non Salamone, Franco Trincale, Vito Santangelo, Fortunato Sindoni, arricchita da nuove prospettive tematiche, espressive e conoscitive solo in parte riconducibili ai tradizionali ambiti folklorici. Certo, la difficolta' nell'ottenimento degli spazi pubblici - cui l'AICA (Associazione Italiana Cantastorie) fa fronte sin dal '47 - e' da porre in relazione alle disposizioni critiche, talvolta eversive, che caratterizzano nel complesso l'ethos dei cantastorie. Oggi, comunque, i cantastorie vengono coinvolti nei multiformi tentativi di recupero della tradizione popolare: dalle tournee canzonettistiche ai festival del folklore per i turisti, fino ai convegni sulla cultura popolare e agli ambiti del folk-music revival. Attraverso i mass media i cantastorie del Sud hanno raggiunto il pubblico di piu' paesi, aumentando la resa economica della loro professione rientrando nelle articolazioni culturali della societa' complessa. Col boom dell'industria discografica hanno soprattutto rimpiazzato il commercio dei fogli volanti e dei libretti delle loro storie con quello di dischi, cassette, compact e audiovisivi destinati a una fruizione privata che, nei circuiti dell'emigrazione, avviene lontano dall'Italia e dall'Europa. Per quanto si delineino a partire dal folklore meridionale, tali aspirazioni comunicative sembrano sdoppiarsi per dar luogo a una rinnovata "tradizione" che ribadisce il professionalismo artistico, il ruolo socioculturale, l'originaria adesione popolare del poeta-cantastorie. La voce ironica Si comprende allora come nelle profaziate - poesie che settimanalmente, sulla Gazzetta del Sud, portano alla luce gli aspetti ora ridicoli ora gravi dei fatti di ogni giorno - l'approccio ironico garantisca al cantastorie calabrese Otello Profazio (nato a Rende ma originario di Pellaro vicino Reggio Calabria) l'andirivieni da contrario a contrario, in cui risiede tutta la poliedricita' di un dramma quotidiano ora ripreso come gioco. La tragicita' delle questioni meridionali che Profazio, fin dagli anni Sessanta, denuncia quale profondo cantore della poesia di Buttitta e quale autore di raffinatissime ballate quali Qua si campa d'aria e I frati di Mazzarino, oggi riaffiora nelle profaziate rispetto a fenomeni quali il razzismo connesso al crescente fenomeno migratorio: Razzista ju? Ma chi dici? Si' pazzu? Non mi fari arrabbiari...Catinazzu!
Pe' mia su' tutti uguali...Marocchini, polacchi, jugoslavi e filippini... Non m'interessa 'u culuri d'a peddhi... non vaju guardandu si su' brutti o beddhi! L'importanti e', mio caro Ramondino, che il vetro te lo lavino a puntino! (O. Profazio, Quale razzismo, in Qua si campa d'aria, Messina 1996, p. 251). Su una gamma amplissima di scottanti temi d'attualita' - Tangentopoli e Mani Pulite, la smania del telefonino, la guerra in Jugoslavia, l'avanzata leghista, la malasanita', il malgoverno e cosi' via - l'ironia delle profaziate smonta con finezza determinati assetti morali, criminali, comportamentali o sdrammatizza, denunciandoli, gli aspetti piu' ostici della vita sociopolitica quali, ad esempio, l'ossessionante imposizione fiscale: 'U patri sta murendu, e i figghi intornu su' quasi pronti a fari lu taluornu... Tutti accantu a lu lettu, c'u penseri di esaudiri i so' estremi desideri. Ma 'u patri comu 'nsalinutu... occhi e labbra serrati, fermu e mutu. Si vidi giˆ chi sta per trapassari all'autru mundu...nun ci su' ripari! Quandu improvvisamenti jaza la manu, 'rrunchia lu coddhu e si motica chianu... e cu 'nu filu 'i vuci infini dici: non vi scordati di pagari l'Ici! (O. Profazio,Psicosi fiscale, in Qua si campa d'aria, p&m, Messina 1996, p. 138). Altre volte il poeta dice non dicendo, secondo modalita' comunicative silenziose che mantengono l'estraniamento critico dalla realtˆ dei fatti; estraniamento che accomuna i cantastorie al guardare da una certa distanza di Verga, alla scepsis pirandelliana, all'A ciascuno il suo di Sciascia come all'effetto di estraniamento (Verfremndungseffekt) che Brecht riscopriva nei cantimpanca (Bankelsange) della Germania medievale. Cosi', per fare ancora un esempio, in Recipienti: Anfore, brocche, boccali e quartari... padelle, piatti, pentole e caddhari... cannati, coppi, chicchere e bicchieri... cˆccami, timi, vasi, bricchi e olieri... bemmuli, flutti, tazzi e cassalori... curupeddhi, bagghiola e bagnaroli... ampolli, scifi, zzipeppi e catini... bucaletti, lavabbi e lavandini... serbatoi, secchi, giarri e damigiani... orci, bacili e lavamani... cati, 'limbicchi, cantari e tinozzi... cuccumi, limbi, container e pozzi... gebbie, cisterne, conculini e vaschi... butti, bariddhi, BUTTIGLIONE e Fiaschi! (O. Profazio, Recipienti, in Qua si campa d'aria, Messina 1996, p.235) La reticenza, l'allusione, la concisione, l'iperbole, l'ellissi, la metafora, il frazionamento, l'inversione, l'antifrasi sono appelli retorici attraverso cui l'ironia consente di scovare, osservava il cantastorie di Avola Salvatore Di Stefano, le cose che non quadrano. Dall'abuso indotto del telefono cellulare, per il quale il cantastorie di Militello Val di Catania, Franco Trincale, vede la Telecom ridere come un mulo/che' il telefono agli italiani/gliel'han messo anche nel..., alla brutta sorte toccata a Don Bettino che per curarsi 'u diabete/ha da fare 'u tunisinu; dallo Sparabossi che il discorso ce l'ha duro/ gli argomenti ancor piu' grossi/ e cose' per il futuro/chi e' che spara e' solo Bossi a La revisione fa ingrassar gli Agnelli e per la quale la Fiat e i costruttori di macchine a motori or tessono le lodi al buon governo Prodi perche' invece di dieci ora in continuazion dopo i quattr'anni tu fai la revision. (F. Trincale, La revisione, in Non canto per cantare, Trincale, musicassetta, Milano 1996) L'ironia e' allora l'allegrezza, un po' malinconica, che ispira i cantastorie alla ricerca di una pluralita': i sentimenti, le idee devono rinunciare alla loro intransigente solitudine signorile per aprirsi a rapporti piu' popolari di vicinato, per coabitare con la moltitudine delle piazze. Fare dell'ironia, scrive il filosofo Jankelevitch, significa scegliere la giustizia. Pensiamo ai testimoni, alla societa' che ridere di noi, al passato e al futuro che ci guardano, alle altre sfere del nostro essere che vogliono cio' che loro spetta, a quell'innumerevole non-io attorno all'io (L'ironia, il melangolo, Genova 1987, p.39). L'ironia aiuta i cantastorie ad amare, con lo stesso amore dialettico, molte storie insieme, in cui amici e nemici si trovano accumunati nello stesso divertente progetto di conoscenza.




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