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Il teatro di ricerca nel Sud: questioni di identità

di Valentina Valentini

Il fascino di questo argomento: l'identità del teatro di ricerca al Sud, discende probabilmente dal fatto che si presenta come una costellazione di temi che si intrecciano e senza un centro da aggredire:
a) Il problema di circoscrivere l'attuale e reale identità del teatro di ricerca, non può rientrare nella linea "continuista" proposta da chi non vede fratture, fra allora e oggi.
Qual'è lo spirito autentico del teatro di ricerca degli anni Novanta? In che relazione sta con la "tradizione del teatro" della seconda metà del Novecento?
Occorre liberarsi delle convenzioni teatrali drammatiche - storia, dialogo, personaggio-carattere - e sconfinare in territori extra teatrali come sono stati la performance art, il parateatro, l'antropologia teatrale? O bisogna abbandonarle per nuove e differenti istanze? In sintesi, le categorie che hanno formato l'identità del teatro degli anni Settanta sono ancora valide per il teatro di questo decennio?
b) Interrogarsi sulla specificità del teatro (di ricerca) nel Mezzogiorno d'Italia (al di là dell'approccio etno-antropologico) e sulle forme in cui si configura, come sul rapporto fra l'internazionalizzazione dei percorsi (e delle produzioni) teatrali e l'esaltazione delle differenze culturali et etniche. Tali questioni ripropongono una riflessione su categorie che probabilmente non sono in antagonismo, ma la cui relazione è problematica (Nord e Sud, centro-periferia...).

 Prendiamo avvio dalla riflessione che sulle categorie di globale e locale fa Michel Serres (1980), nel suo libro dedicato alla fisica atomista e al De rerum natura di Lucrezio, inquadrando la questione della relazione fra "Sud e Nord" da questa prospettiva. «L'idea di limite - osserva Michel Serres - è connessa all'idea di minimum, al calcolo e alla descrizione dei confini, che sono fatti di intervalli, scarti, avvenimenti particolari».
L'atomismo epicureo concepisce uno spazio plurale, sparso, costellato di singolarità locali, governato dalla necessità o dal caso, di contro al quale Serres pone il globalismo stoico secondo cui il piacere è affidato al movimento, al prolungamento nello spazio e nel tempo, al sapere enciclopedico, alla rete come modello comunicativo. La visione del mondo della fisica epicurea (che oltre a Lucrezio si rifà ad Archimede), presenta soluzioni locali, singolarità, flussioni, scarti: è una fisica della pluralità dei mondi e della loro esistenza temporanea. Nell'universale, invece, opera una ragione di potenza e di crudeltà che copre la terra dei morti [...]. La figura del "Giardino", luogo finito e limitato, contrapposto a quella del "Portico", luogo di passaggio in cui si trascorre dal locale al globale, raffigura essenzialmente l'etica della località.
Decliniamo ora il binomio "locale-globale" in rapporto ad altri punti cardinali, quelli che contraddistinguono in Europa l'Est rispetto all'Ovest.
Heiner Müller con la sua costante riflessione sulle due Germanie offre una prospettiva rovesciata rispetto a quella tradizionale delle società capitaliste: l'Est è la civiltà, l'identità mentre l'Ovest è la barbarie, la mancanza di identità. Secondo il suo ragionamento la Germania Est corrisponde al "locale" (e alla forza e potere del teatro), mentre la Germania Ovest al "globale" (alla forza e al potere dei media di massa).
«Nella DDR esistono maggiori possibilità di opporsi all'assoluto appiattimento imposto dai media tecnologici», sostiene Müller, ragion per cui l'attrazione che la Germania federale esercitava sui giovani, è motivata dal fatto che nell'Est cercano «quelle radici che la rivoluzione informatica ha completamente eliminato». Come si spiega che «i testi che vengono dalla Repubblica Federale sono linguisticamente più complessi e più densi, motivo per cui offrono maggior resistenza all'americanizzazione, alla cultura dell'usa e getta, all'unidimensionalità della produzione tedesco-occidentale, anche in campo artistico» (Müller, 1994, p. 137).
Un esempio è Beuys, l'artista europeo più conosciuto che ha attinto la sua «estetica spoglia, dalla produzione della DDR, boccali di conserva, arnesi arrugginiti, boccette di medicinali, eccetera. Con questa arte povera Beuys evoca generatori mentali e riserve energetiche che, tutte insieme rimandano a dimensioni intellettuali più consone [...]. Nonostante tutte le contraddizioni, Beuys trova oltre cortina la base materialistica della sua metafisica» (ibidem).

 Genius loci come creazione di un luogo mentale, di un dispositivo generatore di immagini e passioni che alimentano il mondo poetico di un autore. Un paesaggio particolare con la sua geografia, clima, aria, luce si trasforma in spazio della rappresentazione.
Per Franco Scaldati (scrittore, attore, regista cha appartiene alla tradizione delle autori-attori di teatro, come Eduardo De Filippo, Giovanni Testori, Carmelo Bene) Palermo è il luogo dove si origina e si forma la sua scrittura.
«Napoli respira la commedia, noi respiriamo la tragedia. In Sicilia, a Palermo in particolare, tutto è mistero. Noi siamo legati da una matassa che è impossibile sciogliere. La nostra è la terra delle culture sconfitte, sconfitte perciò misteriose perciò trionfanti. Le nostre sono verità sapienziali, non sono mai verità definite come quelle delle culture vincenti, come le verità di quelle società dello sviluppo che oggi sembrano così livellate. [...] A Palermo comincia tutto e non finisce niente. Ma questo non finire non riguarda soltanto Palermo, la Sicilia, il Sud: riguarda tutta l'umanità, è il suo - è il nostro - problema. Scrivere di Palermo significa scrivere dell'uomo. Io scrivo dell'uomo e del suo rapporto irrisolto con la morte, con la fine delle cose. Probabilmente è più facile farlo a Palermo, tutto questo».
Per Carmelo Bene «affondare la propria origine in terra d'Otranto è destinarsi un reale-immaginario [...]. Ora, non è un azzardo, perché eccede l'azzardo, questo venir meno del raccontare. Ci si trova immersi in un qualcosa che mai ebbe un inizio: un'etnia sposata a una vita immaginaria.
Ora dove questo Pensiero depensa si spensiera, via via scendendo fino a Capo Leuca. Lì comincia la Magna Grecia. A Sud del Sud. La Magna Grecia è il depensamento del pensiero del Sud. [...] Allora queste origini reali e immaginarie insieme sono fondamentali per quanto seguirà del mio non esserci. In quanto poggiano esse stesse, tollerante quella chiesa stupenda otrantina, sul vuoto.
Se non si è (dis)-graziati da questo privilegio, là dove la miseria è un lusso - o almeno lo era fino a poco tempo fa -, se non si è graziati da una siffatta premessa etnica, non avrei potuto accedere all'essere senza fondamento, alla spensieratezza, a un'arte teatrantesi che inscena la sospensione del tragico dopo Nietzsche» (Carmelo Bene, 1995, pp. 1052-54).
Nei due esempi citati, il genius loci è dispositivo dell'attività creatrice, che prende la sua peculiare forma dall'abitare quel paesaggio, quella dimora (nello stesso modo in cui il Lare, il dio tutelare determinava il destino dell'uomo, secondo i romani).
In uno studio recente, 'Ecologies of Theatre' (1996), Bonnie Marranca analizza i mondi possibili creati dal teatro come un ambiente, un organismo che interagisce con un sistema culturale (estetico), in cui «paesaggio, mito e memoria creano e testimoniano al tempo stesso di tutte le storie della vita».
Ecco che trova un ulteriore giustificazione l'interrogativo iniziale: con quale sistema culturale ed estetico si è venuta a scontrare la cultura del teatro di ricerca al Sud e che tipi di interazioni si sono prodotte?


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