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SERVE UN PROGETTO PER IL TERRITORIO

di Pasquale Versace



All'inizio del secolo la prima legge straordinaria per la Calabria definiva un programma di interventi, lucido e razionale, che tracciava un chiaro itinerario per lo sviluppo della regione. Molte strade, le ferrovie, la bonifica di vaste pianure paludose, la difesa del suolo con interventi integrati in montagna, collina e pianura, costituivano, insieme a molti edifici di pubblica utilità, l'ossatura del progetto. Un progetto di prim'ordine che andò avanti, sia pure ridimensionato, anche dopo la catastrofe del 1908 che indirizzò quasi tutte le risorse disponibili su Reggio e le altre zone distrutte dal terremoto.
I risultati, puntualmente analizzati da Meuccio Ruini in una sua insuperabile relazione, appaiono comunque sbalorditivi.
L'intervento straordinario e la ricostruzione favorirono il formarsi di una formidabile generazione di tecnici che diedero prova di competenza e serietà, e furono protagonisti negli interventi di difesa del suolo, di bonifica del territorio, di risanamento delle montagne, di creazione delle infrastrutture che caratterizzarono il periodo successivo. Gli uffici del Genio civile di Reggio sono forse la testimonianza più viva di questa felice stagione della tecnica e dell'ingegneria nella nostra regione.

Negli anni 50, dopo le devastanti alluvioni del 51 e del 53, si aprì un altro periodo di grande attività tecnica. Il nuovo intervento straordinario, sorretto anch'esso da un piano eccellente curato dal professore Visentini, vide il lavoro di migliaia di ingegneri, tecnici, geometri, lavoratori forestali che, con sacrifici spesso enormi, realizzarono un imponente sistema di difesa del suolo che ridusse in modo significativo il rischio di inondazione e di frana su gran parte del territorio regionale. Un sistema fatto di forestazione, briglie, argini, piccoli interventi di ingegneria naturalistica. Ci furono ovviamente errori e sprechi, ma nel complesso, di fronte agli scempi che vediamo ai giorni nostri, il sentimento prevalente è il rimpianto. Rimpianto per tecnici e operai competenti, capaci di stabilire un rapporto giusto con il territorio, di ricomporre con competenza ed amore le mille ferite inferte dalle alluvioni.
Questo grande patrimonio umano si è man mano dissipato ed è ormai prossimo alla scomparsa. Le persone che sono andate in pensione non sono state sostituite, le competenze sono state ridotte, si è per lunghi periodi perseguita una scellerata azione di smantellamento degli apparati tecnici, forse perché rappresentavano l'unico reale ostacolo allo scempio del territorio che nel frattempo si andava consumando. Tra qualche anno un grande tesoro di conoscenza, di professionalità, di capacità tecnica, di esperienza non ci sarà più.

Dagli anni 50 in poi non c'è stato solo il declino del presidio tecnico del territorio ma ci sono stati anche due altri fattori, collegati e concomitanti. In primo luogo il sistema di difesa del suolo costruito negli anni 50 e 60 è ormai prossimo al collasso. Ha retto tante alluvioni ma l'assenza di manutenzione lo rende ormai poco affidabile. Le briglie sono piene, gli alvei hanno ripreso la loro pendenza, gli argini sono pieni di rattoppi, le luci dei ponti sono in larga parte occluse. Ogni nuova piena porta danni sempre maggiori, mette in luce impietosamente questo stato di sofferenza.
Ma il fattore decisivo è il massacro del territorio che è stato perpetrato in tante aree della regione con abusi di ogni tipo, con errori di pianificazione clamorosi, con prepotenze incontrollate. Troppe zone calabresi hanno raggiunto tali livelli di degrado ambientale da costituire un pericolo serio per l'incolumità delle persone.
Percorrendo gli alvei delle fiumare calabresi in prossimità del loro sbocco a mare, nelle aree soggette all'espansione delle piene, si può trovare di tutto. Insediamenti commerciali, turistici, residenziali. Parcheggi, aree di svago, con campi di calcio e qualche luna park. Nelle zone più degradate la qualità degli insediamenti diventa infima: discariche, depositi di rottami e di materiale di risulta.
Gli immensi letti delle fiumare, chiaramente marcati dalle storiche piene degli anni 50, sono stati inghiottiti, metro per metro, da una occupazione incontrollata, disordinata e caotica, che ha lasciato vasti scenari di degrado e di rischio ambientale.
Certo non si deve generalizzare, moltissimi amministratori hanno gestito il proprio territorio con amore, rispetto, competenza, incuranti dei rischi per la propria carriera politica e, talvolta, per la propria incolumità. Vanno ricordati ed ammirati perché hanno lasciato intatti angoli di paradiso.

Il venir meno del presidio tecnico, la perdita di efficienza del sistema di difesa del suolo, lo scempio del territorio sono le cause dei danni che hanno devastato tanti comuni in questa prima parte dell'autunno. E' un problema di enormi dimensioni che produrrà altri effetti nei prossimi mesi e nei prossimi anni, ogni volta che le piogge saranno un po' più intense, un po' più prolungate. Troppi anni di assenza nel governo del territorio, troppe occasioni mancate, troppa superficialità e incompetenza hanno aggravato la situazione allontanando la prospettiva di un possibile risanamento. Molti finanziamenti sono stati sprecati facendo cose inutili e non facendo quanto era necessario. L'elenco è lunghissimo ma ripercorrerlo non serve a niente.

E' più utile, forse, cercare di capire cosa si può fare per invertire la tendenza. Anche questo elenco è molto lungo ma tre o quattro cose sembrano più importanti delle altre.
Nei problemi di difesa del suolo si sa bene che cosa fare: interventi strutturali e interventi non strutturali. I primi sono le opere di ingegneria, di idraulica, di forestazione; i secondi sono le misure che impongono la limitazione d'uso del territorio e i piani di protezione civile. Lo strumento con cui pianificare tali interventi è il piano di bacino. La normativa è chiara e adeguata. I ritardi della Regione sono quelli soliti. Ritardi nel fare la legge, ritardi nell'attuarla. In più alcune stranezze: la scelta di sviluppare il piano al di fuori del Comitato tecnico dell'autorità di bacino, la scelta di tenere fuori l'Università della Calabria da questa attività. Di positivo il ruolo dell'Autorità di bacino che incomincia a funzionare (la legge nazionale di riferimento è del 1989) ma che deve acquistare maggiore autonomia per essere realmente efficace. In ogni caso la strada è obbligata bisogna percorrerla rapidamente e correttamente. I benefici non potranno mancare.
Ma qual'è il piano che si deve realizzare, quali caratteristiche dovrà avere? Dovrà essere un elenco di interventi messi in fila o un progetto di sviluppo del territorio come quelli del 1906 e del 1954? La risposta è ovvia, meno ovvia è l'effettiva realizzazione.
Quel che serve è un progetto per il territorio. Qualcosa in più di un piano di bacino. Un progetto del territorio capace di recuperare l'equilibrio spezzato tra il sistema naturale dei fiumi, delle coste, delle montagne con il sistema antropizzato delle città, dei quartieri, delle infrastrutture. Occorre ridisegnare questi due sistemi, creare nuove relazioni spaziali e funzionali. Occorre passare dallo sfruttamento delle risorse al loro uso ricreazionale. Occorre immaginare e realizzare un grandioso progetto di vero e proprio restauro del territorio, analogo a quello che si realizza per un'opera d'arte, per un vecchio edificio, per un vecchio quartiere. Un lavoro diffuso e ampio sul territorio a cui potrebbero lavorare migliaia di giovani laureati e diplomati. Un'operazione di cultura e di civiltà.
Pensiamo a Reggio Calabria, uno scenario unico al mondo, un degrado inaccettabile, un occasione di riscatto e di valorizzazione forse irripetibile.
Un progetto di questo tipo non è autonomo. Investe l'occupazione, lo sviluppo e la valorizzazione delle grandiose risorse naturali, la esaltazione dei prodotti alimentari (qualità ambientale = sicurezza alimentare), lo sviluppo del turismo di qualità, la lotta alla criminalità organizzata che perderebbe metro dopo metro il controllo del territorio che occupa attualmente.
E' rispetto a questo disegno che si deve misurare il piano delle infrastrutture della Regione. Senza un'azione di restauro del territorio qualsiasi sistema infrastrutturale, per ardito che sia, serve a poco.

Ma il piano di restauro non basta. necessario anche sviluppare il presidio tecnico del territorio ricreando le competenze scomparse, assicurando la vigilanza idraulica sui corsi d'acqua, la manutenzione delle opere, la tempestiva ricognizione delle situazioni di rischio. Anche qui possibilità enormi di lavoro e di qualificazione per tanti giovani. Si devono ricostruire i quadri tecnici dell'Autorità di bacino, del Genio Civile, delle Province, dei Comuni, delle Comunità Montane. Si deve favorire un impiego dei lavoratori forestali che possono dare, come nel passato, un contributo risolutivo.
Tra Stato e Regione è stato stipulato, lo scorso anno, un eccellente accordo di programma che si chiama "manutenzione del territorio e forestazione" e prevede l'uso razionale della mano d'opera forestale. L'accordo riguarda, tra l'altro, la manutenzione delle opere di difesa realizzate negli anni 60 e 70, il ripristino di quelle crollate, la pulizia degli alvei dai rifiuti portati dalla corrente o gettati dall'uomo, la sistemazione dei tratti montani, dove si origina il dissesto, e tanti altri interventi utili e necessari. L'accordo prevede anche lo stanziamento di risorse finanziarie adeguate. E' un primo passo importante

Un terzo aspetto riguarda la gestione dell'emergenza, le reti di monitoraggio, i sistemi di allarme. Su questo tema la Calabria è avanti.
A Catanzaro, in via Crispi, c'è la sede dell'Ufficio compartimentale del Servizio Idrografico, che è una struttura efficiente e all'avanguardia. Dispone di una rete di telepluviometri sparsa su tutta la Calabria e la Basilicata, attraverso la quale riceve in tempo reale i dati di pioggia, misurati nelle stazioni periferiche, e li trasferisce al centro di acquisizione dati di Catanzaro. Nell'Ufficio lavorano ingegneri e tecnici, preparati e capaci. La rete funziona bene ed ha funzionato perfettamente anche nei giorni delle alluvioni di settembre e di ottobre.
Ci sono progetti già finanziati per estendere la rete, inserendo nuove stazioni, nelle zone attualmente meno coperte.
C'è ancora molto da fare, è evidente, per rendere più direttamente fruibili questi dati alle strutture di protezione civile. La recente ordinanza del Ministro dell'Interno va proprio in questa direzione, affidando all'Ufficio di Catanzaro il compito "di assicurare un servizio di preannuncio e allarme di fenomeni idrogeologici di particolare rilevanza".
L'attività dell'Ufficio di Catanzaro non è tuttavia la sola, in Calabria, nel settore del monitoraggio. Presso l'Università della Calabria ci sono reti di telemisura locali per lo studio di bacini sperimentali, e sono attivi i collegamenti con la sede dell'Ufficio di Catanzaro per scambiare dati e notizie.
A Crotone c'è un sistema di preannuncio in tempo reale delle piene sul fiume Esaro che è stato collaudato nell'autunno scorso attraverso un'esercitazione di protezione civile, coordinata dal direttore dell'Agenzia Franco Barberi, con risultati più che soddisfacenti.
Ma anche la Regione Calabria ha assunto iniziative nel campo del monitoraggio. Presso l'Assessorato alla protezione civile c'è un sistema, SIRECAM che vuol dire Sistema Regionale di Controllo Ambientale, destinato proprio alla previsione in tempo reale dei fenomeni idrogeologici pericolosi. C'è, all'interno del SIRECAM, un bel sistema informativo geografico, c'è il collegamento alla rete telepluviometrica del Servizio Idrografico, ci sono modelli che consentono di valutare il livello di rischio.

In ultimo penso sia mio dovere spendere qualche parola sull'Università della Calabria che in questi anni ha formato centinaia di ingegneri e di geologi preparati e capaci, che se chiamati ad operare lo fanno con abilità e passione, ma che troppo spesso trascorrono anni in un'inutile attesa di valorizzare le loro competenze e la loro professionalità. Finiscono per demotivarsi, per ripiegare su altre occupazioni, o per andare in altre regioni che meglio sanno utilizzare questo patrimonio di competenza. Una politica attiva di difesa del suolo li vedrà protagonisti.
Presso l'Università, inoltre, molti gruppi svolgono ricerca avanzata in vari settori della difesa del suolo, molto fitta è la rete dei contatti internazionali, rilevante è l'apporto che l'Università potrebbe dare, come ha sempre fatto, per risolvere i problemi fin qui discussi, assicurando la necessaria supervisione scientifica. Si parla ovviamente di rapporti istituzionali tra Dipartimenti Universitari e Regione. Tutto questo non è avvenuto finora, ma si è decisa anzi una incomprensibile esclusione.

Un piano organico per il restauro del territorio, un presidio tecnico, un sistema per la gestione dell'emergenza, un ruolo attivo dell'Istituzione universitaria, possono aiutare la Calabria ad imboccare la giusta via per la riduzione del rischio.


Prof. ing. Pasquale Versace
Presidente del Corso di Laurea in Ingegneria per l'Ambiente ed il Territorio
Università della Calabria



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