I teatri a Cosenza fra il 1870 e il 1945
di Valentina Valentini
Al passaggio dall'amministrazione borbonica a quella sabauda sembra si debba imputare la non reperibilita' di documenti relativi alla registrazione delle compagnie di passaggio per i teatri di Cosenza, per cui le uniche fonti disponibili per conoscere quali compagnie, e con quali spettacoli, siano passate in citta' sono la stampa locale e l'Archivio di Stato, entrambi lacunosi, discontinui e avari di particolari.
Probabilmente, tale piattezza e' dovuta anche al fatto che la vita teatrale cittadina non presentava, allora, eventi, autori, compagnie, attori, drammaturgie, degni di rilievo e capaci di elevarsi sulla routine di una piazza periferica. Il teatro era considerato come una struttura necessaria in una citta', come parte della sua vita sociale e mondana, non tanto come impresa commerciale e nient'affatto come espressione d'arte. Tant'e' che la figura dell'impresario locale stava al limite fra il mecenate e l'imprenditore privato che si sostituisce all'istituzione pubblica, investe fondi propri e rischia inevitabilmente la bancarotta.
Sul sorgere del nuovo secolo, in sintonia con un fenomeno diffuso nel resto dell'Italia, e probabilmente in rapporto a una estensione del benessere e al costituirsi di un ceto medio e piccolo borghese, in citta' si moltiplicano i luoghi, le proposte e i generi di spettacolo (non solo la prosa e il teatro musicale, ma gli spettacoli di varieta', il cinema, i numeri da circo, ecc.), tant'e' che nell'anno 1902 si hanno in citta' ben sei teatri che funzionano contemporaneamente.
Dall'analisi del repertorio degli spettacoli ospitati nei teatri cosentini fra il 1870 e la prima guerra mondiale, non emergono testi e autori "moderni", come Ibsen per esempio, all'epoca portato al successo da Ermete Zacconi. Cosenza non ha alimentato una cultura teatrale d'avanguardia, che significava anche discutere intorno ai problemi che in quel fine secolo tormentavano il teatro italiano (dalla lotta fra attori e scrittori, alla necessita' di un nuovo assetto della compagnia, al teatro d'arte, alla crisi post-naturalistica, ecc.). Ne', d'altro canto, era viva una drammaturgia in dialetto, come in Sicilia, con il fenomeno dei due attori Musco e Grasso (anche se successivi) e ancor piu' a Napoli, con la sua forte e ricca tradizione di teatro popolare in dialetto, rinvigorito dall'apporto del movimento verista e dalla pratica di scambi e contaminazioni e adattamenti con la drammaturgia francese. I movimenti, le tensioni e le contraddizioni che hanno attraversato il teatro italiano, non hanno trovato risonanza nella citta' dove passa un teatro che e' quello convenzionalmente in cartellone nei teatri nazionali, ma con dieci anni di ritardo e con compagnie secondarie (tranne rare eccezioni).
Non e' neanche provata l'esistenza nella citta' di compagnie teatrali stabili come le filodrammatiche i cui spettacoli sono spesso recensiti dalle cronache. Ci resta il dubbio se si tratti di una zona bianca dovuta all'effettiva inconsistenza del fenomeno, all'inesistenza di attori e compagnie sorti in ambito locale, o se il vuoto sia dovuto alla dispersione dei documenti.
Ci sembra piu' probabile la prima ipotesi, avvalorata da un caso che puo' essere portato come significativo: dei due unici drammaturghi calabresi di cui si parla nelle cronache della stampa locale (in questo arco di tempo), Misasi e Melisa, le cui opere sono state rappresentate con successo nei teatri cosentini e anche in quelli nazionali, non si conservano documenti da cui comprendere il ruolo effettivo che il teatro ha svolto nella loro produzione e attivita' di letterati. Il teatro, come del resto si e' compreso chiaramente, non e' un genere frequentato dai letterati e questo pregiudizio, dai pochi letterati calabresi e cosentini, viene confermato. Costoro rappresentano quell'intellighenzia che abbandonava la citta' per raggiungere Napoli, che costituiva il punto di riferimento culturale per il Sud.